Alla fine Tsipras è andato a vedere la proposta di Schäuble, uno degli architetti del rigore burocratico, che qualche mese fa che nel suo consueto stile da freddo tecnocrate, aveva quasi sfidato la Grecia a indire il referendum sulle proposte dei creditori.

Tsipras lo ha preso in parola e con una mossa astuta e sorprendente ha rovesciato il tavolo, quando ieri nel suo discorso alla nazione annunciava il referendum che si terrà domenica 5 luglio. Impossibile raggiungere un accordo, le due parti sono troppo distanti e secondo alcuni resoconti la Merkel ad un certo punto della trattativa avrebbe persino zittito Tsipras, che cercava di convincere il consesso degli eurocrati sulla bontà delle sue proposte. Forse è stato in quel momento che Tsipras ha avuto l’idea di sbloccare lo stallo di una trattativa che nei fatti non è mai esistita, in quanto in Europa si dettano le condizioni e i termini da osservare e null’altro.

La piccola Grecia sta facendo crollare i palazzi della tecnocrazia e dell’austerity che erano stati descritti come solidi e incrollabili. Nei mesi passati di questa trattativa, si erano alternate diverse emozioni e sensazioni quando si seguiva l’interminabile melina delle discussioni a Bruxelles. Alcuni non credevano che Tsipras fosse in grado di portare fuori il suo Paese da questo carrozzone impazzito. Altri vedevano in lui quelle doti di saggezza e di sagace diplomazia che un passo alla volta lo mettevano nelle condizioni di non piegarsi ai diktat di Bruxelles. La missione non è ancora compiuta, ma a questo punto la sua è stata comunque una vittoria. Se i greci dovessero votare no alle proposte dei creditori, e ci sentiamo di dire che questa è l’opzione più probabile, ciò starebbe a significare che per la Grecia che non c’è altra via d’uscita dell’abbandono della moneta unica e il premier ellenico sarebbe pienamente legittimato a compiere questo passo. Se invece i greci dovessero votare a favore delle proposte, Tsipras potrà dire di aver interpellato il popolo e potrà applicare quelle proposte che lui stesso aveva definito come irricevibili.

Nel lasso di una settimana il popolo greco potrà scegliere il proprio destino e i pochi giorni che restano per decidere giocano a favore della politica di Tsipras, che si è opposto fermamente a quelle bozze che volevano un taglio verticale della spesa pubblica. Se la volontà dei creditori fosse stata realmente quella di recuperare il proprio credito, il buonsenso avrebbe suggerito di sospendere il pagamento degli interessi per un periodo sufficientemente lungo che avesse consentito alla Grecia di costruire le condizioni della crescita. Non è certo con gli avanzi primari, con il taglio delle pensioni e con le privatizzazioni che l’economia greca potrà tornare a crescere, quando tutte queste misure procicliche hanno il solo effetto di peggiorare ancora di più la già indebolita Grecia. Perché allora questo rifiuto insensato di concedere un po’ di ossigeno alla Grecia? Il dogma dell’euro e dell’austerity è quanto di più pericoloso per le democrazie europee che stanno rischiando di precipitare in quell’abisso che negli anni’20 creò le condizioni per far sorgere il nazismo in Germania.

John Maynard Keynes, uno degli economisti più importanti del’900, nel 1919 quando l’Europa uscì sepolta dalle macerie da una guerra durissima, intuì che addossare riparazioni di guerra troppo onerose alla Germania avrebbe destabilizzato l’economia tedesca e portato l’Europa sull’orlo di un nuovo conflitto. I politici che l’economista britannico definì “pazzi al potere”, non gli prestarono ascolto e preferirono infliggere alla Germania riparazioni gravose che portarono l’economia tedesca all’iperinflazione e alla disoccupazione: la reazione fu il nazismo. La lezione della storia non trova udienza nelle stanze dei governanti e Keynes, profondamente deluso, scrisse queste profetiche parole sugli esiti del Trattato di pace del 1919: “La politica di ridurre la Germania alla condizione di servitù per una generazione, di degradare la vita di milioni di esseri umani, e di privare una nazione intera della felicità dovrebbe essere ripugnante e detestabile, ripugnante e detestabile anche se fosse possibile, e anche se arricchisse noi stessi. Alcuni la invocano in nome della Giustizia. Nei grandi eventi della storia dell’uomo, e nello svolgimento dei difficili destini delle nazioni la Giustizia non è così semplice. E se anche lo fosse, le nazioni non sono autorizzate, né dalla religione o dalla natura morale, ad addossare ai figli dei loro nemici le malefatte dei genitori dei governanti “. Se si sostituisce “Germania” con “Grecia”, avremo esattamente davanti agli occhi lo stesso scenario.

L’eurocrazia in nome di una giustizia decisa dai mercati finanziari, ha condannato il popolo greco e le future generazioni ad un orizzonte senza tempo, ad un limbo che non lascia né speranze né sogni al paese che fu per davvero la culla della civiltà occidentale, nonostante la dottrina razziale rediviva di Die Welt che rimprovera ai greci di non avere nulla a che fare con gli antichi greci e in quanto tali non degni di appartenere all’Ue. Questa è l’Europa a trazione tedesca che abbiamo di fronte, molto simile ad un apparato totalitario che nei suoi argomenti e portati ideologici non esita a ricorrere al concetto di razza spuria per giustificare la riluttanza della Grecia a piegarsi. Tsipras ha compreso che non può abbandonare il suo paese nelle mani delle tecnocrazie che per loro stessa natura odiano le masse, e chiede al suo popolo di sostenerlo in questa decisiva battaglia per “le nostre future generazioni, per la nostra storia e per la dignità e sovranità della Grecia”. Qualsiasi sarà l’esito c’è un punto fermo in tutto questo, ed è la sconfitta dei vertici europei che dopo mesi di totale rigidità e di assurda inamovibilità, escono sconfitti dalla ferma volontà del governo greco di non proseguire con l’austerity. Questa è una battaglia decisiva che può essere l’inizio del riscatto dei popoli europei che non hanno più intenzione di sposare la povertà in nome di teorie e ideologie che alla prova dei fatti si sono dimostrate fallimentari. Il falso dogma dell’euro irreversibile può davvero essere sconfitto e ora i greci possono dimostrarlo all’Europa intera.

Scritto in collaborazione con Cesare Sacchetti

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