Nel desolante panorama odierno, dominato dalla teologia del mercato e dall’indecorosa riconversione delle sinistre al credo mercatistico, individuare in Papa Francesco l’ultimo marxista superstite è ben più che un semplice paradosso o una mera provocazione. Sembra che Bergoglio sia rimasto il solo a pronunziare, contro il sistema dominante, parole come dignità dell’uomo e del lavoro, diritti sociali, sfruttamento; parole che, dopo aver costituito, per quasi un secolo, la galassia semantica fondamentale delle sinistre, sono oggi state abbandonate da queste come se si trattasse di pezzi d’antiquariato (proprio quando – per ironia della storia – lo sfruttamento, l’ingiustizia sociale e l’alienazione stavano raggiungendo livelli mai registrati in precedenza).

Così nella recente Enciclica:

“L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. […] Il mercato da solo però non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale. […] La politica non deve sottomettersi all’economia. […] Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana”.

Sembra, davvero, che Papa Francesco sia rimasto, se non l’ultimo allievo di Marx, sicuramente l’ultimo a lottare contro le leggi del profitto e del capitale, in nome di quell’essere – l’uomo – che non ha prezzo, ma solo dignità. Con ciò, naturalmente, non si intendono occultare le siderali differenze tra Papa Francesco e Marx, nonché tra le due tradizioni alle quali essi sono rispettivamente inscrivibili: se per Papa Francesco si tratta di aiutare i poveri, per Marx occorre abbattere le condizioni materiali che rendono possibile l’esistenza di poveri nella società opulenta.

L’elogio, in stile francescano, della povertà cede il passo, con Marx, alla lotta per il riscatto della condizione umana e per il superamento della società classista. Tutto ciò è arcinoto, almeno per chi non confonda Francesco da Assisi con Carlo Marx! Né deve essere dimenticato che, al di là di tutto, la Chiesa resta pur sempre, essa stessa, una holding capitalistica: l’esaltazione cristica della povertà e del “Regno dei cieli” convivono aporeticamente con l’adesione alle leggi del capitale. La figura-chiave è quella di Dr Jekyll e Mr Hyde: la stessa istituzione che elogia la povertà e tuona contro il capitale è quella che poi, troppo spesso, agisce nel pieno rispetto delle “sacre leggi” del mercato.

Ciò detto, le parole di Papa Francesco costituiscono, a tutti gli effetti, una presa di posizione chiara, netta e inequivocabile contro l’odierno sistema del monoteismo del mercato e della falsificazione dell’esistenza e dei rapporti sociali. Ovviamente, non vi è speranza che questo discorso venga recepito dal fronte degli integralisti laicisti, né da quello della sinistra passata dalla lotta contro il capitale alla lotta per il capitale (né, ovviamente, da quello della destra, che dalla parte del capitale era già da prima).

Illudendosi che il gesto più emancipativo che possa darsi sia la ridicolizzazione del Dio cristiano (o, alternativamente, la soppressione del crocifisso dalle scuole), l’armata Brancaleone dei cosiddetti “laicisti” non cessa di contrastare tutti gli Assoluti che non siano quello immanente della produzione capitalistica, in ciò favorendo la sua ascesa a sola divinità consentita: il laicismo integralista si pone come il completamento ideologico ideale del fanatismo del mercato, in cui “The Economist” diventa “L’Osservatore Romano” della globalizzazione capitalistica e le leggi imperscrutabili del Dio monoteistico divengono le inflessibili leggi del mercato mondiale.

Per quel che riguarda le sinistre, la situazione è ugualmente tragica, ma non seria. Avendo rinunciato al perseguimento di un avvenire alternativo e più grande rispetto alla prosa reificante della mondializzazione capitalistica, la sinistra ha scelto di investire culturalmente e politicamente sull’“onestà”, sulla legalità, sulla “questione morale” (in un completo oblio di quella economica), sui “diritti civili” (in un integrale abbandono di quelli sociali), sul “legalismo” (in una rimozione integrale del fatto che le leggi della società di mercato sono espressione sovrastrutturale dei rapporti economici e, dunque, battersi perché siano rispettate equivale a lavorare per il re di Prussia). In questo senso, si può ben dire che Marx e Gramsci stanno all’odierna sinistra venduta al capitale, come Cristo e il discorso della montagna stanno al banchiere Marcinkus.

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