Nella lista dei beneficiari del 5 per mille 2013, recentemente pubblicata, mancano ancora gli enti di tutela dei beni culturali. Sconosciuta ai più, questa categoria del beneficio in capo al ministero della Cultura è stata istituita nel luglio del 2011 sotto il governo Berlusconi, ministro Giancarlo Galan e, fino a fine 2014, è stata gestita dalla direzione Valorizzazione del patrimonio culturale diretta da Anna Maria Buzzi, la sorella di Salvatore, il capo del sistema di cooperative al centro dell’inchiesta Mafia capitale. Dopo l’eliminazione della direzione da parte del ministro Franceschini, è passato sotto la Bilancio, ma non è cambiato lo status di piccola nicchia con regole tutte sue e tanti aspetti che lasciano perplessi: pubblicità quasi nulla, procedimento separato in capo appunto al ministero della Cultura con tempi e modalità poco trasparenti, ritardi ancora maggiori rispetto al 5 per mille generale nonostante i beneficiari siano pochissimi. Le somme assegnate si conoscono solo per il 2012, l’anno di esordio: 786mila euro, assegnati a 13 progetti. Ma non sono state ancora pagate agli aventi diritto e ci sarà da aspettare ancora parecchio tempo. Per il 2013, la cifra ufficiosa è di circa 2 milioni e 300mila euro, assegnati a 17 progetti.

Quando, a partire dalla dichiarazione 2012, erano stati aggiunti nelle scelte della dichiarazione dei redditi gli enti privati di tutela dei beni culturali e paesaggistici, il sito del ministero recitava: “Così come esiste una salute di natura ‘fisica’ che è necessario preservare attraverso la cura del corpo, esiste una salute di natura ‘spirituale’, un benessere dell’anima legato anche alla possibilità di fruire pienamente delle bellezze dell’impareggiabile patrimonio culturale e paesaggistico nazionale (…) un capitale unico al mondo; una risorsa strategica per l’Italia di oggi e di domani. Ogni singolo cittadino, con la sua firma, può dunque contribuire direttamente a questa preziosa azione a favore del patrimonio culturale e paesaggistico”.

Fatto sta che gli enti ammessi al beneficio sono stati 13 nel 2012, 17 nel 2013, 26 (su 29 candidati) nel 2014. Entro il 30 giugno uscirà l’elenco dei candidati 2015. Un numero a dir poco limitato nel Paese con il patrimonio culturale più ricco al mondo, nonostante la presenza di nomi famosi come Italia Nostra, il Fai, la Cineteca Italiana, il museo Poldi Pezzoli. Un insuccesso da attribuire anche a una procedura piuttosto intricata. Innanzitutto, la cultura è l’unico settore nel quale il contribuente non sceglie la singola organizzazione con il codice fiscale, ma soltanto la categoria “organismi privati di tutela… dei beni culturali e paesaggistici”.

Gli enti si iscrivono sul sito del Mibac entro il 31 maggio. Nel 2015 l’avviso è uscito una settimana prima della scadenza

Come vengono assegnate allora le risorse, se non è il contribuente a scegliere? Gli enti interessati si iscrivono sul sito del Mibac entro il 31 maggio di ogni anno. Nel 2015 l’avviso è uscito una settimana prima della scadenza. Entro il 15 novembre vengono a sapere se sono stati ammessi. Il progetto dettagliato delle attività da finanziare va presentato entro il 30 novembre, quindi dopo l’ammissione, per cui sarà comunque finanziato, a prescindere dalla sua qualità. Ai fini del riparto, i programmi sono suddivisi in tre fasce, in base al relativo valore finanziario. Ai programmi da 30mila a 100mila euro è assegnato il 30% delle risorse disponibili, a quelli tra 100mila e 300mila un altro 30%, sopra quella cifra il restante 40%. Per ciascuna fascia, le risorse disponibili sono ripartite in misura proporzionale al valore economico dei programmi ammessi.

“Sembra veramente un terno al lotto, perché invece di dipendere dal valore culturale del progetto dipende dalla fortuna di capitare nella fascia giusta, con il budget giusto e con pochi concorrenti”, fa notare Loretta Veri, fundraiser dell’Archivio diaristico nazionale, che ha partecipato fin dalla prima edizione. “Oltretutto, in terza fascia un limite superiore non esiste: si possono chiedere milioni di euro in modo da sbaragliare i concorrenti e portare a casa la fetta più grossa dei fondi”. E’ il caso della Fondazione Cini, che nel 2012 ha ottenuto (legittimamente) 262mila euro su 314mila totali assegnati alla terza fascia, mentre gli altri cinque progetti dello stesso “girone” si sono divisi i 52mila euro rimanenti.

Interpellato da ilfattoquotidiano.it sui motivi di un meccanismo di questo tipo, il ministero della Cultura ha preferito non commentare. Tuttavia l’architetto Mauro Ceci, responsabile del cinque per mille fino a novembre 2014 e oggi in pensione, sostiene che la procedura esordì in tutta fretta, con un decreto del Presidente del Consiglio, Mario Monti, che nel frattempo era subentrato a Berlusconi, ed entrò in vigore cinque giorni dopo la scadenza dei termini per candidarsi – prorogati subito dopo – e che solo per questo nacque male. Sempre secondo l’ex funzionario Mibac, però, il ministro Franceschini non pare intenzionato a modificarla, almeno per il prossimo anno.

Con una platea di beneficiari così ristretta, in ogni caso, è difficile spiegarsi il ritardo nei pagamenti. Il ministero sostiene di dipendere sua volta dall’Agenzia delle Entrate, che ha reso disponibili le somme del 2012 solo nella seconda metà del 2014. Però da allora è passato quasi un anno. In realtà l’iter non è ancora finito, perché ogni assegnatario, per incassare la sua spettanza, deve ancora stipulare una convenzione “che definisce le modalità di corresponsione del contributo assegnato, di rendicontazione delle somme percepite e di controllo amministrativo-contabile”. A partire dal 2015 sembra che l’obbligo della convenzione sia stato rimosso, infatti l’avviso di quest’anno stabilisce che “la corresponsione della quota avverrà entro 6 mesi dalla disponibilità effettiva delle relative somme”. Ovvero, non si sa quando.

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