Adriano Sofri è una persona per la quale provo una personale stima. Ho seguito con attenzione il processo che lo ha condannato e sono intimamente convinta della sua innocenza. Ho letto i suoi libri e ho imparato da essi. Ho ascoltato i suoi racconti di giornalista e credo abbiano aggiunto qualcosa di importante alla conoscenza di recenti vicende della storia del mondo.

Ma di questo non deve importare a nessuno, ora che a Sofri è stato chiesto dal Ministro della Giustizia di presiedere uno dei tavoli di lavoro sulla riforma penitenziaria e che lui ha rifiutato dopo le polemiche. Sono opinioni mie, che hanno rilevanza solo per me. La stessa cosa vale per le opinioni del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che si è espresso con forza contro tale nomina. Adriano Sofri è un cittadino libero, che ha formalmente finito di scontare la sua pena, che non si è mai sottratto alla giustizia pur quando questa durava decenni e gli rovinava lentamente la vita e pur continuando a dichiararsi innocente. Dove sta scritto che la pena dopo la pena debba essere quella di non partecipare alla vita pubblica? Dove sta scritto che non debba mai più esservi recupero, che nella società non si possa mai far rientro a pieno titolo, con i diritti politici che spettano a ciascuno?

Il commento del Sappe sulla nomina di Sofri è inaccettabile. Se il segretario Donato Capece ritiene che Sofri non sia sufficientemente competente sulla materia, lo dicesse pure. Potremmo ragionarci. Ma non credo che possa sostenere qualcosa di simile e penso che i risultati che sarebbero potuti uscire in autunno da quel tavolo di lavoro lo avrebbero dimostrato ampiamente. Di tavoli ce ne saranno ben diciotto, ai quali siederanno esperti provenienti dal mondo dell’accademia, delle professioni giuridiche, dell’associazionismo.

Nel 1993 Sofri ha dato alle stampe “Le prigioni degli altri”, dove la quotidianità detentiva da lui vissuta in prima persona era restituita attraverso dettagli inevitabilmente sfuggenti a ogni sociologia o lettura ufficiale, capaci tutti assieme di offrire una conoscenza della galera che pochi libri sono stati in grado di dare. Nel 1995, quando ancora quasi nessuno ne conosceva l’esistenza e le funzioni, si rese conto dell’importanza del Cpt, quel Comitato per la Prevenzione della Tortura cui il Consiglio d’Europa aveva dato vita non molti anni addietro e che aveva effettuato la sua prima visita ispettiva in Italia. Curò per Sellerio il “Rapporto degli ispettori europei sullo stato delle carceri in Italia. Che vale anche da manuale di istruzioni per carcerieri, carcerati e cittadini in provvisoria libertà”.

La frequentazione diretta del carcere da parte di una persona che ha dimostrato da sempre grande capacità di analisi dell’attualità ha senz’altro indotto in Sofri una conoscenza non banale dei meccanismi penitenziari anche più nascosti, una capacità di elaborazione su aspetti non ovvi dell’accesso a istruzione, cultura e sport (è su questi temi che il ministro lo ha chiamato a collaborare) che con ogni probabilità avrebbe saputo condurre a linee di riforma in grado di migliorare quel percorso di reintegrazione sociale che il carcere dovrebbe avere per scopo, con evidenti vantaggi per la collettività tutta. Gli avremmo augurato buon lavoro contenti che il Ministro abbia scelto di dialogare con tante figure dalle esperienze variegate nello scrivere il progetto di riforma penitenziaria.

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