“L’Europa sta morendo. E forse non ha neanche più voglia di vivere. Poiché non c’è stata civiltà che sia sopravvissuta alla nobilitazione dell’ omosessualità. Non dico all’esercizio dell’omosessualità. Dico: alla nobilitazione della omosessualità“. Il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, spiega così, in un’ampia intervista a Tempi, qual è stato il suo primo pensiero dopo la recente approvazione da parte del Parlamento europeo di un rapporto sull’uguaglianza di genere dove si parla delle famiglie gay.

“Io ho fatto diversi pensieri a partire da quella mozione votata al Parlamento europeo. Il primo pensiero è questo: siamo alla fine”, dice Caffarra. E proseguendo con il ragionamento: “Qualcuno potrebbe osservare che nessuna civiltà si è mai spinta ad affermare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. E invece bisogna ricordare che la nobilitazione è stata qualcosa di più del matrimonio. Presso vari popoli l’omosessualità era un atto sacro”. Le “uniche due realtà civili, chiamiamole così, gli unici due popoli che hanno resistito lungo millenni – e in questo momento penso innanzitutto al popolo ebreo – sono stati quei due popoli che soli hanno condannato l’omosessualità: il popolo ebreo e il cristianesimo. Dove sono oggi gli assiri? Dove sono oggi i babilonesi?”, domanda il cardinale.

Il secondo pensiero “di carattere prettamente di fede” di Caffarra, è questo: “Davanti a fatti di questo genere io mi chiedo sempre: ma come è possibile che nella mente dell’uomo si oscurino delle evidenze così originarie, come è possibile? E la risposta alla quale sono arrivato è la seguente: tutto questo è opera diabolica. In senso stretto”. Per il cardinale “è l’ultima sfida che il satana lancia a Dio creatore, dicendogli: ‘Io ti faccio vedere che costruisco una creazione alternativa alla tua e vedrai che gli uomini diranno: si sta meglio così. Tu gli prometti libertà, io gli propongo la licenza. Tu gli doni l’amore, io gli offro emozioni. Tu vuoi la giustizia, io l’uguaglianza perfetta che annulla ogni differenzà”.

In un altro passaggio dell’intervista firmata dal direttore Luigi Amicone, Caffarra si chiede: “come faccio a impedire l’oscuramento dei cuori? Penso ai giovani, a chi ha ancora il coraggio di sposarsi, ai bambini. E allora penso a cosa si fa normalmente nel mondo comune quando si deve affrontare una pandemia”. L’arcivescovo prosegue dicendo che “come pastore ho la responsabilità di guarire e di impedire che le persone si ammalino. Ma nello stesso tempo ho il grave dovere di avviare un processo, cioè un’azione di intervento che esigerà pazienza, impegno, tempo. E la lotta sarà sempre più dura. Tanto è vero che dico a volte ai miei sacerdoti: io sono sicuro che morirò nel mio letto. Sono meno sicuro per il mio successore. Probabilmente morirà alla Dozza”, il carcere di Bologna.

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