Il governo aspetta, vuole capire di che si parla. Prudenza magari saggia, per carità, eppure la legge sul falso entrata in vigore il 15 giugno non si presenta bene. Ieri abbiamo dato conto, dopo un’anticipazione del Corriere della Sera, della sentenza della Cassazione che ha prosciolto i fratelli Crespi (Luigi è l’ex sondaggista di Berlusconi) da una parte delle accuse per falso in bilancio nella bancarotta di Hdc grazie alle nuove norme. Ieri (18 giugno, ndr) un breve lancio Ansa ha dato conto delle preoccupazioni di tribunale e procura di Torino sugli effetti che la decisione della Cassazione potrebbe avere sul processo Fonsai, in cui accusato di falso in bilancio c’è anche l’ex patron della società assicurativa, Salvatore Ligresti. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, al telefono col Fatto Quotidiano minimizza la situazione: “Come ho già detto bisogna aspettare le motivazioni per capire il ragionamento della Corte e comunque la nostra intenzione è chiara: vogliamo che il contrasto al falso in bilancio sia rafforzato, quindi se servirà alla luce della sua applicazione, siamo disposti a un tagliando della legge, magari con una norma interpretativa sul punto in questione. Basta che sia chiaro che questa legge ha ampliato l’area dell’incriminazione e aumentato le pene e dunque aumentato pure i mezzi di contrasto”.

Vero, almeno in parte, ma il diavolo, si sa, ama i dettagli: secondo l’interpretazione della Suprema Corte, infatti, la norma è scritta in modo che non siano più punibili i falsi su quelle parti del bilancio “oggetto di valutazioni”, cioè basate su stime (il valore dei magazzini, ad esempio, o dell’ammortamento dei crediti). Sembra una cosa piccola, ma non lo è: è proprio su queste voci che in genere si bara. “Il problema – dice ancora Orlando – era emerso in commissione, ma tutti quelli che sono stati auditi, e si tratta di magistrati esperti del tema, hanno sostenuto che non c’era un problema di interpretazione, nel senso che la legge chiaramente consentiva di punire non solo i falsi materiali, ma anche quelli sulle componenti oggetto di valutazione”. È sicuramente così, ma anche senza motivazioni, il dispositivo della sentenza della Cassazione pare chiaro: “Perché i fatti di cui alle predette imputazioni non sono più previsti come reato”.

Sono proprio queste parole a preoccupare i magistrati torinesi riguardo al processo Fonsai: il falso, infatti, è stato contestato sulla cosiddetta “riserva sinistri” del bilancio 2010 della società assicurativa. Tradotto: secondo il pm Gianoglio, Fonsai ha accantonato meno soldi del dovuto a riserva delle polizze per permettere alla famiglia Ligresti di intascare dividendi che la società non avrebbe dovuto pagare. Il danno ai soci – ha calcolato Giovanni Petrella, economista della Cattolica – ammonta a 257 milioni di euro e, secondo la Procura, riguarda 11.910 risparmiatori. Sul caso Fonsai, il Guardasigilli ovviamente non commenta: “Siamo alla pre-illazione. Se la mettiamo così, possiamo lanciare un allarme per ogni processo. E poi, a proposito di sfracelli annunciati, quando facemmo la responsabilità civile dei magistrati si disse di tutto e non mi pare che stia succedendo niente”. E ancora: “Anche sul voto di scambio politico-mafioso differenti sezioni della Cassazione hanno interpretato la norma in modi differenti, anche su questo argomento aspettiamo e vediamo”. Sul voto di scambio, però, il conteggio delle posizioni della Suprema Corte è decisamente pro-assoluzioni: in quel caso il problema è che, per esserci reato, deve essere dimostrata l’accettazione del politico del “metodo mafioso” nella ricerca dei voti a suo favore.

Quanto al falso in bilancio, comunque, nel Pd s’è creato un certo fronte. Pier Luigi Bersani, mercoledì, ha lanciato una vera e propria sassata al governo: “La Cassazione ha dimostrato che nella nuova disciplina sul falso in bilancio c’è un buco pazzesco che rischia di vanificare l’esito dei processi. Bisogna che il Consiglio dei ministri intervenga”. Il responsabile giustizia del Pd, David Ermini, renziano, è stato invece molto più cauto: “Prima di creare allarmismi aspettiamo le motivazioni della sentenza. In pochi, forse, hanno letto la relazione all’aula sul falso in bilancio e tutti i lavori preparatori. In essi è contenuta la reale volontà del legislatore per una corretta interpretazione della norma. Anche sulla base delle osservazioni di Francesco Greco (magistrato milanese esperto in reati finanziari, ndr), audito in Commissione, la relazione specificava che le valutazioni fanno parte integrante dei fatti materiali”. Le intenzioni dei parlamentari, però, sembrano aver convinto la Cassazione meno della lettera della legge.

Va ricordato – a proposito della travagliata approvazione del falso in bilancio, osteggiata furiosamente da Confindustria e dalla sua inviata al governo Federica Guidi – che l’ex sottosegretario Giacomo Caliendo ha ricordato che lui e il gruppo di Forza Italia tentarono di ripristinare la formula originaria (aggiungendo le parole “ancorché oggetto di valutazioni”), ma l’emendamento fu bocciato in Senato per un voto. Certe volte le buone intenzioni non bastano.

Da Il Fatto Quotidiano del 19 giugno 2015

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