libro-rossimarcelliOk, lo ammetto: l’ultima volta che ho letto un’autobiografia scritta da una persona di appena 40 anni, era il caso di Marina Ripa di Meana e del suo dimenticato ‘I miei primi quarant’anni’. Con un tale cupo precedente, il lavoro del giornalista Claudio Rossi Marcelli, ‘E il cuore salta un battito. Due ragazzi e la sorprendente semplicità dell’amore‘ (Mondadori Strade Blu, 2015), partiva con un forte handicap. Tuttavia, l’ironia dell’autore e la leggerezza calviniana con cui ha saputo presentare gli inizi della sua storia d’amore con Manlio, colui che oggi è il marito, padri di tre bellissimi figli, mi ha conquistato pagina dopo pagina.

Il critico francese Philippe Lejeune ci ha spiegato che un’autobiografia e un romanzo si leggono (e si recensiscono) in modo diverso. C’è però un fattore che tiene uniti un’autobiografia e un romanzo: quello dell’utilità, o meglio ancora del senso del libro scritto. Un romanzo (o un’autobiografia) che una volta letti non ci avessero almeno in parte cambiato o insegnato qualcosa, sono libri che hanno fallito il loro obiettivo. Rossi Marcelli ha pubblicato questa autobiografia, dopo il più brillante ‘Hello Daddy, perché ritiene possa essere utile a chi la legge. L’aspetto di ‘E il cuore salta un battito’ che mi ha convinto della necessità di questo libro, l’ho trovato assai chiaro a pagina 132:

Con il passare dei mesi io e Manlio stavamo diventando una coppia modello per molti dei nostri amici. Le coppie stabili tra persone dello stesso sesso erano ancora rare e, a un’età in cui lo erano anche quelle tra gli etero, la nostra travagliata relazione giunta al lieto fine era una storia che metteva tutti di buon umore. Nati nello stesso quartiere, nello stesso anno, da famiglie simili, presentati uno all’altro da rispettivi compagni di scuola: nel mio rapporto con Manlio c’era una buona dose di normalità che ci avrebbe reso assolutamente noiosi agli occhi di tutti. Ma il fatto che fossimo due maschi ci conferiva invece un connotato rivoluzionario, e allo stesso tempo anche rassicurante. La nostra normalità rompeva più schemi del trasgressivo libertinaggio praticato da alcuni nostri amici.

Da queste righe ho capito che anche l’autobiografia di un autore appena quarantenne ha un senso e un’utilità, almeno per l’Italia. Viviamo infatti in un Paese talmente arretrato sui diritti umani e sul principio di uguaglianza davanti alla legge di tutti i suoi cittadini, a prescindere dal loro orientamento sessuale, che in giro c’è ancora bisogno di modelli d’esempio, oltre che di romanzi, di film, di spettacoli teatrali, che illustrino come la vita di due ragazzi – poi di due uomini – che si amano può essere tremendamente normale, financo banale, e proprio per questo, rivoluzionaria.

Spiega ancora Claudio:

Non c’erano modelli da indicare ai nostri genitori per spiegargli: ecco, io sono come loro. Gli unici modelli di riferimento che avevamo eravamo noi stessi […]

I cinque anni (1996-2001) raccontati da Rossi Marcelli sono quelli a cavallo del Rome World Gay Pride, ormai descritto anche sul piano letterario da molti scrittori. Quell’evento politico ha svolto per l’Italia Lgbt la funzione che la rivolta di Stonewall sancì per la storia del movimento gay americano. E’ il punto di non ritorno: il momento in cui centinaia di militanti gay, lesbiche, bisessuali e transessuali italiani fanno implicitamente anche coming out, magari nel modo di Alberto che, arrivando al Pride con due immense bandiere rainbow cucite insieme dalla madre, davanti alla domanda di Claudio “Quindi le hai detto che se gay?” risponde delizioso: “Claudio, l’ho costretta a lavorare per giorni su delle bandiere rainbow fatte di lustrini da sventolare alla prima marcia mondiale per i diritti degli omosessuali. Credi che ci sia ancora bisogno che le comunichi ufficialmente che sono gay?”

Ma soprattutto, quei militanti contribuiscono all’organizzazione di qualcosa che, nella cattolica Italia, non si è mai visto prima. E, anche grazie all’ottusa ostilità del Vaticano e del governo Amato, quello del “purtroppo c’è la Costituzione”, riescono a portare dalla propria parte centinaia di migliaia di eterosessuali laici, scocciati dalla permanente invasione di quella libera Chiesa in uno Stato sempre meno libero.

La critica che si deve muovere all’autore è che in questa autobiografia, a parte Susanna – unico personaggio deleterio incapace di amarsi e di amare – tutti gli altri sono appena abbozzati e presentati di sguincio, senza approfondimenti. Rossi Marcelli non svela nulla della sua infanzia, dei suo genitori, di suo fratello. Chiaro, quando si ha a che fare con persone vere e viventi la questione si complica. Il volontariato al Mieli di Claudio è declinato quasi tutto in chiave della sua attività di Dj al Muccassassina, mentre è ovvio che non fu solo questo. E allora non resta che astrarsi e terminare su una nota positiva: poiché queste pagine raccontano storie vere, viene da chiedersi: ma quante comitive di ventenni Lgbt esistevano nella Roma Nord degli anni Novanta? Com’è stato possibile, per dire, che il mio giro di amici e amiche Lgbt si sia appena sfiorato con quello di Claudio, quando tutti e due avevamo attorno una vera e propria galassia di esseri umani nostri coetanei, che hanno pianto, riso, tremato, amato, odiato e vissuto in modo così prepotentemente intenso?

E in fondo, non vi dà una gran speranza tutto ciò? A me l’ha data.

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