Le associazioni dei consumatori proliferano, non c’è che dire. Altroconsumo, Federconsumatori, Assoutenti, Adoc, Lega consumatori, solo per citare quelle con più iscritti a livello nazionale. Ma a queste se ne aggiungono decine e decine attive a livello locale. Così scegliere quella a cui affidarsi diventa un grattacapo. Tanto più che si può finire in cattive mani. Come è successo quattro anni fa a una coppia di Udine che, dopo essersi rivolta al Movimento difesa del cittadino del Friuli Venezia Giulia per opporsi a un pignoramento, è stata messa in contatto con l’allora responsabile del dipartimento Fisco e finanza dell’associazione e con una sedicente avvocatessa cancellata dall’albo, entrambe finite alla sbarra per truffa. La coppia infatti è stata convinta a fare causa alla banca e a pagare un anticipo da oltre 4mila euro sulla parcella. Con un finale a sorpresa: finta avvocatessa irreperibile e causa finita male, nonostante le possibilità di successo fossero state spacciate per concrete. Il processo, iniziato ad aprile, stabilirà se si è trattato di raggiro. Ma il paradosso è chiaro: il consumatore si è ritrovato a doversi difendere proprio da chi avrebbe dovuto tutelarlo. Come fare a evitarlo? Ecco le cose da sapere per scegliere meglio la propria associazione.

Fondi pubblici alle associazioni iscritte a elenco nazionale e registri regionali – Il grande mondo delle associazioni dei consumatori può essere diviso in tre livelli. Quelle più importanti sono iscritte all’elenco del ministero dello Sviluppo economico e fanno parte del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu), un organismo presieduto dello stesso ministero. Per ottenere tale riconoscimento le associazioni devono soddisfare i requisiti previsti dal Codice del consumo (decreto legislativo 206 del 2005): tra le altre cose, devono essere attive da almeno tre anni, avere un numero di iscritti superiore al 5 per mille della popolazione nazionale, essere presenti in almeno cinque regioni e avere uno statuto che preveda una certa democraticità interna. Il riconoscimento pubblico a livello nazionale dà alcuni vantaggi, come la possibilità di rappresentare gli iscritti nelle conciliazioni paritetiche, una modalità stragiudiziale di risoluzione delle controversie, e la possibilità di partecipare ai bandi per i progetti a favore dei consumatori finanziati dal governo con parte delle sanzioni dell’Antitrust.

Sul rispetto dei requisiti vigila il ministero – Niente che sia comunque in grado di garantire fino in fondo i consumatori, come dimostra il caso in cui è rimasto coinvolto il Movimento difesa del cittadino, una delle associazioni che fa parte del Cncu. Soddisfare i requisiti, inoltre, non è per nulla una missione impossibile, a guardare il numero delle associazioni iscritte all’elenco ministeriale: addirittura 19. “Un numero assurdo”, commenta Stefano da Empoli, docente di Economia politica e politica economica all’università Roma Tre e presidente dell’I-Com, l’Istituto per la competitività che cura un rapporto annuale sui consumatori. “Perché le associazioni possano avere la massa critica necessaria a svolgere un ruolo significativo, il quadro dovrebbe essere meno parcellizzato. La loro integrazione andrebbe incentivata”.
Ma non finisce qui. Oltre all’elenco del ministero, gran parte delle regioni ha un proprio registro a cui si possono iscrivere le associazioni attive a livello locale. Spesso queste sono le ramificazioni territoriali delle 19 nazionali, ma ce ne sono anche di nuove.

Così si arriva a casi come quello del Lazio, dove le organizzazioni registrate sono più di 40. E forse non è un caso che proprio qui ne siano di recente finite sotto inchiesta quattro: Federconsumatori Lazio, Adoc Lazio, Unione nazionale consumatori Lazio e Coniacut, tutte sospettate di aver certificato prestazioni inesistenti per ottenere i finanziamenti regionali. “Alcune associazioni nascono solo per aggiudicarsi i soldi pubblici”, sostiene Marco Pierani di Altroconsumo, secondo il quale il problema non si limita al livello regionale, ma tocca anche quello nazionale: “Tutti i progetti presentati dalle associazioni appartenenti al Cnuc di solito vengono approvati e finanziati. Non c’è una vera competizione e alcune associazioni puntano strutturalmente ai fondi pubblici, con cui si mantengono in vita. Un effetto distorsivo, perché a beneficiare dei progetti deve essere il consumatore finale, non la struttura dell’associazione”.

Il terzo livello: le associazioni fuori dagli elenchi – Completano il quadro tutte le associazioni a cui di prassi non sono destinati i bandi per i progetti finanziati da Stato e regioni, perché non iscritte ad alcun elenco. Spesso sono piccole organizzazioni attive a livello locale o specializzate in determinati settori, come l’usura bancaria. Anche queste hanno tutto il diritto di esistere, sebbene non siano sottoposte a quel minimo di controlli previsti invece per iscriversi ai registri. Il loro è un modello alternativo: la mancata appartenenza al ‘sistema pubblico’ – fanno sapere dal ministero – non va considerato come punto di demerito.

Occhio ai procacciatori di affari. Un consiglio? Chiedere il bilancio – Tra i rischi per gli utenti, uno su tutti. Che l’associazione dei consumatori si trasformi in un sistema per procacciare affari agli avvocati a essa legati. Vale per tutte le organizzazioni, siano queste riconosciute o meno da ministero e regioni: “Definirsi paladini dei consumatori – spiega da Empoli – può essere una mossa di marketing dietro cui si nascondono gli interessi di singole persone, per esempio i professionisti”. Da valutare c’è poi la qualità e il costo dei servizi offerti, che insieme alle quote di iscrizione possono essere un’altra fonte di finanziamento. Ma su questo non c’è alcuna regolamentazione, come spiegano dal ministero: “Se un’associazione diventa esosa, non è lo Stato che lo deve dire. Il mondo associativo deve essere libero. Se un associato non è più soddisfatto, come arma ha quella di cancellare la propria iscrizione”. Ma allora come fare a scegliere l’associazione giusta? “L’adesione non va mai fatta la buio – rispondono dagli uffici del dicastero -. Può essere utile dare un’occhiata allo statuto e al sito dell’associazione. Si può provare anche a chiedere il bilancio. Se non viene mostrato, quantomeno è sinonimo di poca trasparenza”.

@gigi_gno – luigi.franco.lf@gmail.com

Riceviamo e pubblichiamo la seguente lettera di Antonio Longo, presidente del Movimento difesa del cittadino:

Il Movimento difesa del cittadino (MDC) per statuto e prassi ormai trentennale limita la sua attività all’informazione e assistenza extragiudiziale dei cittadini, aiutandoli a tutelare i loro diritti attraverso strumenti come la conciliazione. Non “mette in contatto” e non indirizza nessuno ad avvocati, come si evince chiaramente anche dallo statuto e dal sito; non “procaccia affari” a nessuno studio legale. Indichiamo a chi ci contatta solo sedi provinciali e regionali dell’associazione, alle quali ci si puo rivolgere. Del caso citato la sede nazionale era assolutamente all’oscuro e quindi non ha mai indicato e non poteva indicare alcun avvocato.

Naturalmente chi si rivolge alle sedi locali e non puo’ risolvere il suo problema in via conciliativa a volte chiede consiglio per la scelta di un avvocato. Il responsabile della sede di MDC Friuli Venezia Giulia ha ritenuto nella sua autonomia di indirizzare questi cittadini, che peraltro non sono mai stati iscritti all’associazione, ad un avvocato che ha agito come professionista e non certo come “responsabile del dipartimento Fisco e finanza”. Sull’operato di questo professionista e sulle vicende che hanno portato al procedimento penale si pronuncerà il giudice. Proprio facendo tesoro di questa vicenda, e per evitare casi analoghi peraltro mai successi in passato, ci siamo dotati di una convenzione con i legali di fiducia (che le allego), per garantire i cittadini sia riguardo la qualità delle prestazioni professionali che per gli onorari richiesti. In nessun caso comunque l’associazione entra nel rapporto professionale, che nasce e si sviluppa tra il cittadino e il professionista.

MDC si è sempre caratterizzata come un’associazione che ha fatto della trasparenza la sua caratteristica. Pubblichiamo da molti anni il bilancio nazionale on line, insieme con il Cud del presidente. Negli ultimi anni abbiamo fatto battaglie per la legalità nella politica, ultime quelle ancora in corso per l’applicazione della Severino nei casi De Magistris e De Luca; in anni recenti contro la Giunta regionale del Lazio e la presidente Polverini che non volevano dimettersi dopo gli scandali dei rimborsi; ma anche contro il Consiglio regionale della Puglia (presidente Vendola) che voleva aumentare il numero degli eletti in contrasto con lo statuto regionale, interpretato in modo errato. I cittadini che si rivolgono a MDC possono stare tranquilli e continuare a rivolgersi ai nostri sportelli, certi di essere aiutati a risolvere al meglio i loro problemi.

Prendiamo atto dei chiarimenti che tuttavia non smentiscono quanto scritto. Del resto, riguardo al caso che ha coinvolto l’avvocato Dalila Loiacono, ex responsabile del dipartimento Fisco e finanza del Movimento difesa del cittadino, nel decreto che ha disposto il suo rinvio a giudizio si legge che due dei soggetti che hanno presentato denuncia “si erano rivolti al Movimento difesa del cittadino del Friuli Venezia Giulia per un parere legale in ordine ad una procedura di pignoramento immobiliare”. Il presidente Longo scrive che “il responsabile della sede di MDC Friuli Venezia Giulia ha ritenuto nella sua autonomia di indirizzare questi cittadini ad un avvocato”. Al di là dell’autonomia del responsabile della sede di MDC Friuli Venezia Giulia, resta il fatto che questi cittadini si erano rivolti a lui proprio per il suo ruolo all’interno dell’associazione. Come dice il presidente Longo, il giudice si pronuncerà sulle vicende che hanno portato al procedimento penale. Procedimento in cui il difensore di Loiacono ha chiesto di essere autorizzato a citare 91 testimoni, 23 dei quali in virtù del loro ruolo all’interno degli organismi dirigenti del Movimento difesa del cittadino. Tra di loro anche il presidente Longo, che avrà modo di portare la sua testimonianza anche in tribunale. (Luigi Franco)

Aggiornamento
La Corte di appello di Trieste, Sezione II penale, in data 7 maggio 2019 ha definitivamente assolto con formula piena l’avv. Dalila Loiacono dai reati contestati.

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