Lavoratori sottopagati e con contratti non in regola, sedi legali difficilmente rintracciabili, dipendenti fatti passare per soci ma senza alcun diritto decisionale, e soci o amministratori unici che fanno il bello e il cattivo tempo nell’azienda. È l’identikit delle false cooperative, quelle che risparmiando su sicurezza e costo del lavoro riescono ad aggiudicarsi gli appalti al massimo ribasso, che nascono e chiudono i battenti a orologeria prima dell’arrivo dei controlli fiscali lasciandosi dietro una scia di debiti e contenziosi, per poi riaprire senza pagare i conti del passato. E’ a questo brulicare di aziende che invadono il mercato, diventando terreno fertile per scopi e attività illegali, come ha fatto emergere l’inchiesta Mafia Capitale, o spesso porta d’ingresso per infiltrazioni della criminalità organizzata, che le principali associazioni di cooperative vogliono mettere un freno una volta per tutte. Con “Stop false cooperative” l’Alleanza delle cooperative italiane (coordinamento formato dalle tre associazioni datoriali Agci, Confcooperative e Legacoop) ha elaborato una proposta di legge di iniziativa popolare intitolata per chiedere al Parlamento “misure più severe e più incisive per contrastare il fenomeno delle false cooperative, che utilizzano strumentalmente la forma giuridica della cooperazione perseguendo finalità estranee a quelle mutualistiche”. Il bilancio del primo mese di raccolta ha raggiunto già le 19mila firme, ma l’iniziativa andrà avanti fino a novembre con l’obiettivo di consegnarne almeno 50mila per la discussione in Parlamento.

La vicenda giudiziaria romana è solo la punta di un iceberg, e se su Mafia capitale c’è ancora qualche imbarazzo a parlare, non è solo per opporsi a casi come quello che la campagna ha preso piede, ma soprattutto per debellare un sistema consolidato sommerso di illeciti diffuso in tutta Italia. Per questo l’Alleanza chiede che l’Albo delle cooperative previsto dalla normativa nazionale diventi pubblico e che vi si possano iscrivere soltanto le aziende che risultino in regola con gli obblighi di legge come la revisione biennale, pena la cancellazione. Si propone inoltre la tempestiva comunicazione dello scioglimento delle cooperative all’Agenzia delle Entrate per evitare l’accumulo di debiti verso l’Erario, ma anche la perseguibilità degli amministratori per cinque anni dopo la chiusura. In altre parole, nell’Albo dovrebbero rimanere soltanto i soggetti che mostrano di rispettare i requisiti delle cooperative, quindi i fini mutualistici, un conto economico e un’opera a vantaggio dei soci, contratti di lavoro regolari sottoscritti dalle principali sigle sindacali e una “vita democratica” all’interno dell’impresa . “E’ necessario – spiega a ilfattoquotidiano.it Giancarlo Ferrari, organizzatore della campagna e direttore di Legacoop – che dallo Stato arrivino misure più severe e che vengano fissati requisiti rigidi per potere rimanere iscritti nell’Albo”.

In Italia su circa 80mila cooperative soltanto 43mila aderiscono alle principali sigle riconosciute, e la vigilanza sulle restanti è molto difficile. Perciò le associazioni datoriali chiedono più controlli, anche se il ministero dello Sviluppo economico ha già messo le mani avanti ammettendo che mancano le risorse per un’attività capillare. E pensare che per migliorare le cose per l’Alleanza sarebbe necessario invece un programma prioritario di accertamenti verso tutte le cooperative che da tempo non si sottopongono a revisioni e ispezioni, così come per quelle appartenenti ai settori più a rischio. Ci sono infatti tipologie di attività in cui le false coop attecchiscono più facilmente di altre, come i mercati agroalimentari all’ingrosso, i trasporti, la logistica, i servizi e le pulizie. “Sono settori – spiega Ferrari – in cui il valore aggiunto è più basso e c’è minore consapevolezza, quindi si va incontro più facilmente a fenomeni di sfruttamento, o addirittura al caporalato”.

Soltanto la scorsa estate a Modena la Guardia di Finanza ha rilevato 900 lavoratori irregolari nei settori di produzione e a inizio giugno a Forlì sono state smantellate due false cooperative con sede nel foggiano che sono arrivate a evadere 13,5 milioni di euro, mentre le proteste dei facchini che denunciano lo sfruttamento sono all’ordine del giorno in tutta Italia (nella foto, l’intervento della polizia sui lavoratori delle coop fornitrici di Ikea a Piacenza, nel maggio 2014).

“Fare cooperazione è importante, c’è bisogno di competitori eccellenti sul mercato – continua Ferrari – Per questo è importante la lotta a queste forme spurie. La sfida deve essere in positivo, e per questo proponiamo che non ci siano nelle imprese avvilimento del personale e cumulo di cariche”. È un’altra delle iniziative che l’Alleanza porta avanti insieme alla proposta di legge: oltre al miglioramento del sistema interno delle coop, c’è anche la lotta al massimo ribasso negli appalti con la tutela della regolarità dei contratti e l’obbligo di un costo minimo del lavoro. E ancora, altra idea sul tavolo è quella della certificazione antimafia anche per i fornitori, per arrivare attraverso una “white list” al controllo di tutta la filiera, e infine l’avvio delle procedure per lo sviluppo di attività cooperative per la gestione dei beni confiscati alla mafia. “Tutto questo però – conclude Ferrari – non è possibile senza il sostegno dello Stato e delle istituzioni”.

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