Carrello della spesaC’era una volta la politica di pianificazione urbanistica dei comuni. Oggi non più. Oggi capita che un comune vari un piano regolatore, un privato si svegli e chieda una variante. Ed il comune accetta. A Torino da quanto il PRG fu varato se ne contano più di trecento. Il piano è del 1995: più di una variante al mese di media. Significa che il piano originario è stato del tutto stravolto, rivoltato come un calzino.

Ma un altro dato balza all’evidenza e stravolge il tessuto urbano, ed è il proliferare dei centri commerciali (o “non luoghi”) novità questa invece favorita dalla liberalizzazione del commercio già a livello europeo.
Ma tutto ha un inizio ed una fine a questo mondo e vivaddio questo pare attagliarsi anche alla proliferazione di iper e supermercati. Dopo anni di continua espansione, forse il mercato è saturo. Negli Stati Uniti la contrazione dei classici centri commerciali è in atto da anni, e si assiste talvolta anche al fenomeno del loro abbattimento.

Del resto, che il mercato sia saturo od in via di saturazione emerge dalla crudezza dei numeri. I punti vendita della grande distribuzione negli ultimi decenni sono arrivati a 29.366 nel 2011. Poi il calo, fino ai 27.668 di oggi. L’utile netto è passato dall’1,4 per cento del 2006 a – 0,1 per cento del 2013 e nel 2014 le vendite si sono ulteriormente ridotte dello 0,4 per cento. Motivi del calo: la contrazione dei consumi o, almeno una spesa intelligente, dopo anni di abbuffate; la diffusione degli hard discount; la spesa on-line ed anche quella a chilometri zero.

Ed è così che già si parla di licenziamenti, anzi, “esuberi” che è meno traumatico: da Mestre, alla Sicilia, equamente distribuiti tra colossi della grande distribuzione, come Auchan e Carrefour.

Ma quello che appare del tutto evidente è anche e soprattutto che la liberalizzazione ha comportato un enorme consumo di suolo fertile, suolo fertile che nessuno ci restituirà. Perché quasi sempre i centri commerciali sono calati dall’alto in zone periferiche, agricole, e non già ad esempio in aree industriali dismesse: e questo perché l’operazione costa meno. In Veneto si calcola che vi siano la bellezza di 484,6 mq ogni mille abitanti, in Lombardia 466,4, in Piemonte 414,6.

Ed intanto l’ISPRA pubblica (mestamente, potremmo dire) il rapporto 2015 sul consumo di suolo in Italia, da cui emerge che si è passati da un consumo pari a 2,7% degli anni cinquanta al 7,8% del 2014, con 21.000 kmq di territorio snaturato. La percentuale europea media di consumo di suolo è 4,6%.

Mentre l’attuale governo del fare non si decide a varare una seria norma sulla tutela del suolo agricolo. Forse una ragione c’è: tutelare contrasta con fare.

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