Il segreto di Stato sul dossieraggio sistematico di giornalisti e magistrati a opera del Sismi è tuttora in vigore. La conferma, firmata “cordialmente” da Matteo Renzi, è stata inviata il 4 giugno da Palazzo Chigi al giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Perugia, Andrea Claudiani.  Proprio a Perugia, il 29  aprile, era ripreso il processo sull’operato del generale Nicolò Pollari, ex capo  del Servizio Informazioni e Sicurezza Militare (Sismi), e di Pio Pompa, il suo analista di fiducia e responsabile di quella sede in via Nazionale 230 dove nel 2006, su mandato della procura di Milano che indagava sul rapimento di Abu Omar, furono ritrovati centinaia di dossier dedicati ai presunti nemici del premier Silvio Berlusconi.

Alla prima udienza Pollari, oggi membro del Consiglio di Stato, aveva opposto il segreto di Stato esibendo una lettera firmata da Giampiero Massolo, attuale coordinatore del Dis, il Dipartimento sicurezza della presidenza del Consiglio, che anticipava l’intenzione del governo di sollevare sulla vicenda  un nuovo conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale. Claudiani aveva interpellato Palazzo Chigi per chiedere conferma dell’esistenza del segreto di Stato, e il 4 giugno ha avuto la risposta: i fatti di via Nazionale sono “compresi nella sfera di efficacia di segreti di Stato già vigenti” a seguito di provvedimenti adottati dai predecessori di Matteo Renzi, e di cui lui si è limitato a prendere atto. Quali sono tali segreti “già vigenti”?

Renzi ne cita “in particolare” cinque, sottolineando come tutti fossero già stati regolarmente comunicati al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) nella relazione semestrale prevista dalla legge 124 del 2007, la riforma dei servizi. Riguardano tutti l’attività del Sismi e sono in relazione al rapimento in Iraq di Agliana, Stefio, Cupertino e Quattrocchi (segreto di Stato apposto dal presidente Silvio Berlusconi nel 2004);  al rapimento di Simona Pari e Simona Torretta (sempre Berlusconi, 2004); al rapimento di Giuliana Sgrena (ancora Berlusconi, 2004) e  alle attività di contrasto al terrorismo dopo i fatti dell’11 settembre (Berlusconi, 2005). Ultimo caso citato dal presidente del Consiglio, la conferma del segreto (22 dicembre 2009, sempre ad opera di Berlusconi) in occasione del  primo procedimento di Perugia a carico di Pollari e Pompa per i fatti di via Nazionale: i due però erano stati rinviati a giudizio dal pm Sottani per il reato di peculato, avendo utilizzato risorse pubbliche per “fini non istituzionali”, cioè  realizzare  dossieraggi a carico di magistrati e  giornalisti ritenuti membri (da “disarticolare”) di un’organizzazione ostile  al premier Berlusconi.

“Sul piano formale, Matteo Renzi si pone su una linea di mera prosecuzione delle scelte operate dai suoi predecessori” commenta Francesco Paola, l’avvocato di cinque dossierati e del Comitato delle vittime di via Nazionale . “I casi che il premier cita in sequenza non hanno però nulla a che vedere con i dossieraggi di via Nazionale. Per dirla meglio: Renzi compie un’assimilazione concettuale tra una serie di vicende che sono manifestamente estranee al processo in corso, come il rapimento delle due Simone o l’omicidio di Quattrocchi. E questo conferma che l’apposizione del segreto di stato nel caso dei dossieraggi è, come ha già spiegato la Cassazione, manifestamente irrilevante ai fini della prosecuzione del processo”.

Il procedimento a carico di Pollari e Pompa, secondo Paola, può cioè proseguire comunque: “Già la Cassazione, in novembre, aveva posto in evidenza che le prove raccolte e messe agli atti sono ampiamente sufficienti a confermare l’illecito”. Toccherà adesso al gup di Perugia valutare la missiva di Renzi e decidere se il materiale agli atti è sufficiente per andare avanti. Appuntamento alla prossima udienza, prevista per il 16 luglio.

 

 

B.COME BASTA!

di Marco Travaglio 14€ Acquista
Articolo Precedente

Uso del contante, il governo dice sì a innalzamento limite oltre mille euro

next
Articolo Successivo

Antimafia, dopo gli attacchi alla Bindi il Pd vuole cambiare Codice etico dei partiti

next