L’Italia è il Paese di Bengodi per le concessionarie autostradali. A dimostrarlo, numeri alla mano, nel corso di un’audizione in commissione Ambiente alla Camera è il capo del Servizio di struttura economica della Banca d’Italia, Paolo Sestito: “Negli ultimi venti anni – ha detto – i ricavi delle concessionarie sono più che raddoppiati, passando da 2,5 miliardi di euro nel 1993 a oltre 6,5 miliardi nel 2012. Tale crescita è prevalentemente da attribuire alla dinamica delle tariffe unitarie, cresciute più della dinamica generale dei prezzi”. Il traffico infatti, specie negli anni della crisi, è calato e dunque l’aumento dei ricavi si spiega tutto con l’aumento delle tariffe. Aumento giustificato sulla carta dagli investimenti effettuati per il potenziamento della rete, che però nella pratica – sottolinea Sestito – non sono stati fatti: “Tra il 2008 e il 2013 gli investimenti delle concessionarie sono rimasti stabili e non hanno seguito il profilo crescente definito nei piani di sviluppo annessi alle convenzioni siglate all’inizio del quinquennio”, ha detto in Commissione osservando che sul mancato decollo possono aver influito diversi fattori, tra cui la difficile congiuntura economica. Il dato però è chiaro: nonostante il mancato rispetto dei piani di investimento, alle concessionarie autostradali sono stati riconosciuti egualmente gli aumenti tariffari e i loro ricavi sono più che raddoppiati.

Ma quanto rende davvero il business delle concessioni autostradali? Il Servizio di struttura economica della Banca d’Italia ha fornito qualche dato: “Ogni chilometro di autostrada a pedaggio genera annualmente in Italia ricavi medi per oltre 1,1 milioni di euro: 300mila euro destinati allo Stato e 850mila alle concessionarie. Queste ultime sono anche i principali beneficiari dei ricavi da sub-concessioni e da altre attività commerciali svolte sulla rete autostradale”. Senza considerare la quota di lavori affidati in house, cioè a società di costruzione appartenenti allo stesso gruppo del concessionario, quota che è calata nel corso degli ultimi anni ma che ha consentito guadagni enormi anche attraverso sistematiche manipolazioni dei costi grazie alle quali i concessionari hanno spuntato aumenti tariffari a doppia cifra, oltre a far lavorare le proprie imprese mediante l’affidamento diretto dei lavori.

Il nocciolo della questione, come sottolinea una volta in più Sestito, sta nel fatto che le vigenti concessioni autostradali sono state “tutte rinnovate senza passaggio per una gara pubblica” e “si caratterizzano per durate residue estremamente lunghe”. Concessioni che valgono oro e che sono state regalate ai privati senza nessuna contropartita. Se l’obiettivo è il rilancio degli investimenti, questo “deve essere assicurato attraverso misure che tutelino la concorrenza, garantendo l’individuazione del miglior offerente e la selezione delle opere in base a trasparenti analisi dei loro costi e benefici sociali”.

Insomma, il governo dovrebbe mettere a gara le concessioni – come peraltro impone la direttiva europea – e non insistere nel cercare insieme ai concessionari ogni possibile scappatoia per prorogarne la durata. Su questo punto Banca d’Italia, Antitrust, Authority dei Trasporti e Autorità Anticorruzione insistono già dal primo giro di audizioni e pareri dell’autunno scorso sul decreto “Sblocca Italia” e hanno ribadito con fermezza questa tesi anche nelle audizioni successive. Inascoltati, come dimostra anche la volontà del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio di trovare un accordo con le Province di Trento e Bolzano per prorogare la concessione scaduta già da un anno dell’autostrada del Brennero.

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