Dopo le numerose manifestazioni di protesta in tutto il mondo – sia di piazza che sul web – e in seguito al video di Peta (People for the ethical treatment of animals) che denunciava le crudeltà compiute sui conigli d’angora negli allevamenti cinesi, per ricavare la lana usata per realizzare maglioni, sciarpe e accessori vari, alcune grandi firme hanno deciso e dichiarato di sospendere la vendita e produzione dei loro capi realizzati con lana d’angora. Tra le prime ad aderire all’iniziativa H&M, seguita di recente anche da Lacoste, Zara, Bershka, Pull & Bear, Calvin Klein, Stella McCartney, Tommy Hilfiger e French Connection. Il 4 giugno anche Benetton si è unita alla lista dopo le proteste di centinaia di dimostranti davanti al suo negozio di Regent Street a Londra, di invio di 30.000 mail e più di 340.000 tweet. La ditta italiana ha annunciato “la decisione di interrompere l’uso di lana d’angora in tutte le collezioni vendute a livello mondiale […] In linea con l’impegno di lunga data di United Colors of Benetton verso le tematiche sociali, compreso il benessere degli animali, abbiamo già interrotto l’uso dell’angora nella nostra produzione. Una volta terminato l’inventario attuale, nei negozi Benetton non saranno più disponibili prodotti in lana d’angora”.

Dichiara Peta: “Siamo lieti che Benetton abbia aderito alla lunga lista di aziende senza angora. Una decisione non da poco, visto che l’azienda italiana conta ben 6000 punti vendita sparsi nel mondo “. Il 90 % della produzione mondiale dell’angora proviene dagli allevamenti cinesi, e il prezzo di mercato varia tra i 25 e i 34 euro al chilo. La pratica che si dovrebbe usare è la tosatura, ripetuta ogni 3 mesi per tutta la durata della vita dell’animale, che di norma vive in allevamento 2/3 anni, molto meno di quanto potrebbe in condizioni normali (fino a 10 anni). Ma l’angora di qualità superiore, quella più lunga e più pregiata, che dà maggior profitto perché può essere venduta addirittura a più del doppio del valore di mercato. è quella che si ottiene scuoiando i conigli vivi. Come mostra il video di Peta girato nel 2013 da un attivista infiltrato in 10 allevamenti nelle province cinesi di Jiangsu e Shandong.

In stanze zeppe di gabbiette, gli animali vivi vengono appesi o legati ad assi di legno per poi essere spellati mentre gridano dal dolore. Poi nudi, sanguinanti, terrorizzati, in profondo stato di sofferenza e anche di agonia vengono rimessi in piccole gabbia e tenuti al gelo allo scopo di produrre velocemente altro pelo, che ricresce dopo circa 2/3 mesi, poi si ricomincia a strappare di nuovo la loro pelliccia. Questa pratica viene ripetuta ogni 2/3 mesi per circa 2 anni, cioè fino a quando il pelo non ricresce più, quindi vengono sgozzati e venduti come carne di seconda qualità. Nonostante i capi d’angora siano ancora facilmente acquistabili on line su vari siti, come riportano le etichette all’interno dei prodotti: Angora fur, angora rabbit,, angora wool, angora wolle, rabbit angora fur, Peta annuncia che “in Cina nel 2013/2014 le esportazioni di angora sono diminuite del 74%”.

Articolo Precedente

Unioni civili, per il Vaticano sono ancora prodromo di ‘incesto e pedofilia’?

next
Articolo Successivo

Diritti gay, Camera approva mozione Pd: ‘Legge unioni civili, impegno del governo’

next