Questa notte ho sognato di essere irlandese e così al mio risveglio ho iniziato a pensare a quanti vantaggi ci sarebbero stati nel mio Paese se esistesse un’apertura mentale come quella che la cattolicissima Irlanda ha dimostrato con il referendum di pochi giorni fa. Ciò mi ha fatto ancora più impressione, quando ho riflettuto sulla circostanza che fino al 1993 l’omosessualità per gli irlandesi era un reato.

Il referendum è intervenuto sull’articolo 41 della Costituzione, intitolato “La famiglia”, che verrà modificato in modo tale che il testo sia: “Il matrimonio può essere contratto, in accordo con la legge, da due persone senza distinzione di sesso”. In Irlanda circa mille coppie hanno usufruito del diritto alle unioni civili dal 2010. Grazie al referendum queste coppie vedranno pienamente parificati i loro diritti rispetto alle coppie eterosessuali.

Ovviamente, per deformazione professionale, mi sono concentrato su alcuni aspetti giuslavoristici, lasciando a persone più esperte di me l’analisi della novità normativa con riguardo alla piena applicazione del principio di uguaglianza, dei suoi effetti dal punto di vista etico e sociale. Mi sono, quindi, domandato cosa succederebbe se nel mio Paese esistesse una norma simile e, soprattutto, cosa succede oggi senza una tale previsione?

Nelle mie elucubrazioni ho volutamente preso in considerazione solo l’ipotesi della convivenza tra soggetti omosessuali, poiché quella tra eterosessuali per il diritto del lavoro è talvolta equiparata al matrimonio. Da non trascurare, poi, il fatto che la convivenza tra eterosessuali è spesso frutto di una scelta, avendo le persone di sesso diverso la facoltà di scegliere se sposarsi o meno. Tale libertà non è, invece, data alle coppie omosessuali, che hanno come unica alternativa la convivenza senza alcun diritto.

Il primo pensiero è, così, andato all’ipotesi più drammatica: quella della morte. Mi era, infatti, capitato di assistere alla disperazione di chi, pur avendo convissuto per anni con il suo compagno/a, doveva affrontare non solo il dolore per la perdita della persona amata, ma l’impossibilità di far valere diritti economici, pacificamente riconosciuti in caso di matrimonio tra soggetti eterosessuali.

Ad esempio, il Tfr (Trattamento di fine rapporto) o l’indennità una tantum per morte: queste spettano esclusivamente al coniuge, anche se separato o divorziato. Una tale precisazione sottolinea come la norma non miri a proteggere l’istituto del matrimonio in quanto tale e la sua indissolubilità, poiché diversamente non si sarebbe fatta alcuna apertura a favore dei separati e dei divorziati.

Lo scopo è certamente diverso ed è quello di aiutare economicamente, nella prima difficile fase successiva al decesso, la persona che era (o è stata nel caso di separazione/divorzio) più vicina allo scomparso e che faceva affidamento sull’apporto economico di quest’ultimo. Se, quindi, si tratta di sostenere chi è stato vicino all’estinto, perché escludere chi ha convissuto con lui/lei solo perché appartiene allo stesso sesso? Forse che l’essere omosessuali non comporti le medesime esigenze e difficoltà economiche che la legge ha preso in considerazione per la moglie o il marito?

Beh, se fossimo in Irlanda domande come queste non dovremmo neppure porcele ed ogni discussione sarebbe troncata sul nascere! Al marito o alla moglie spetterebbe il Tfr e l’indennità una tantum, a prescindere dal sesso uguale o diverso dei coniugi.

Che dire poi del congedo matrimoniale, cioè di quel permesso straordinario e retribuito, ulteriore rispetto alle ferie, che viene riconosciuto solo in caso di matrimonio concordatario o civile? Oggi alla coppia omosessuale che volesse contrarre matrimonio in uno dei Paesi in cui ciò è ammesso non spetterebbe nulla; per potersi sposare dovrebbero prendere ferie. Nel mio “sogno irlandese” non ci sarebbe nessuna differenza. Purtroppo, mi sono risvegliato e sono tornato alla dura realtà italiana.

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