Il Grexit, l’uscita della Grecia dall’euro, ed il Brexit, la rinuncia della Gran Bretagna a far parte dell’Unione Europea, simboleggiano le due anime, profondamente dicotomiche, del sogno europeista. Tutti gli altri Stati membri oscillano al loro interno, come un pendolo. Nei prossimi due anni entrambe potrebbero frantumarsi, un’implosione che danneggerebbe tutta la costruzione europeista e, chissà, forse questa catastrofe potrebbe anche dar vita ad una versione più realista dell’Unione europea e meno contraddittoria di quella attuale.

La tragedia del Grexit ormai è come una telenovela tormentone che tutti continuano a vedere per scoprire come andrà a finire ma che non finisce mai. I problemi reali che la costituiscono sono tanti, dalla follia del settore bancario europeo antecedente al crollo di Lehman Brothers – che ha elargito denaro a iosa ad una nazione la cui  maggiore componente del Pil erano gli aiuti economici dell’Unione Europea -, fino alla follia della Troika, la cui formula lacrime e sangue ha fatto contrarre l’economia greca del 25 per cento nel giro di un paio d’anni. Neppure la dilagante povertà della gente, i suicidi dei pensionati, la carenza di medicine e così via ormai generano compassione nell’europeo medio, in fondo l’attuale tragedia greca, come quelle antiche messe in scena durante il suo glorioso passato, si metabolizzano velocemente perché sono manifestazioni, seppur aberranti, della natura umana.

Ma il Grexit è un fenomeno a parte, che non ha nulla a che fare con la psicologia umana, piuttosto rappresenta una ribellione, no, ormai è meglio definirlo una denuncia nei confronti delle promesse europeiste. Ai greci sembra aver pagato abbastanza, e forse hanno ragione; il governo sostiene che continuare ad alzare le tasse ed a tagliare la spesa pubblica sarà controproducente come lo è stato fino ad ora, e molto probabilmente anche ciò è vero allora perché perseverare su questa strada che rischia l’implosione?

L’attuale minaccia del Grexit mette anche a fuoco le contraddizioni del piano di salvataggio europeo. Il settore privato ha già, nel lontano 2011 e 2012. abbonato ai greci più del 75 per cento del debito, rimane però quello nei confronti delle istituzioni sovranazionali: Fondo monetario, Banca centrale europea ecc. Un grafico interessantissimo del Wall Street Journal mostra tutta la gamma dei creditori e ciò che è loro dovuto da qui al 2010. Di gran lunga il più grosso creditore della Grecia è l’Unione europea attraverso le sue istituzioni.

Il discorso di Atene è semplice: per evitare che la Grecia sia costretta ad abbandonare l’euro bisogna fare un balzo in avanti nel processo di integrazione. Che questo si concretizzi con gli eurobond o con la garanzia di Bruxelles per rinegoziare e tagliare una buona fetta di debito ha poca importanza, purché la costruzione europea di cui Atene fa parte a tutti gli effetti manifesti un impegno fiscale e finanziario per salvare la Grecia. Basta la volontà di farlo. Ed infatti simbolicamente questa decisione rafforzerebbe l’idea che prima o poi il vecchio continente diverrà una sola nazione, senza parlare dell’effetto positivo che avrebbe sui mercati la certezza che l’Unione è sempre più coesa.

Regno Unito alla vigilia del voto

Discorso diametralmente opposto ci arriva dalla Gran Bretagna, la minaccia del Brexit non solo proviene dal rifiuto della filosofia europeista, ma pretende una revisione del concetto di coesione, principalmente in termini fiscali e finanziari. Londra non ha intenzione di ascoltare Bruxelles su come gestire la propria politica interna o estera, ma soprattutto non ha intenzione di finanziare la follia pre-crisi delle banche europee o quella dei governi dei Piigs che si sono indebitati eccessivamente.

Così mentre Atene chiede più unione Londra ne chiede molta di meno. Un tiro alla fune che con molta probabilità nessuno vincerà, è infatti probabile che la corda si rompa ed entrambe le squadre si ritrovino a terra.

Riflettiamo su come sia possibile che queste due nazioni facciano parte della stessa Unione europea, che tutte e due siano strumentali al raggiungimento di accordi di maggioranza assoluta in sede di Commissione e di Consiglio d’Europa. Se la visione dell’Europa che hanno è diametralmente opposta allora il compromesso necessario per ottenere il loro appoggio finirà per svuotare dei contenuti veri qualsiasi proposta. In altre parole, la macchina infernale europea non funziona perché il meccanismo di base al suo interno fa sempre cilecca.

Forse, perché prevedere il futuro è impossibile non solo per gli economisti ma anche per i chiromanti, perdendo queste due anime l’Europa ne troverà una terza con la quale poter riformulare meglio il sogno europeista.

Articolo Precedente

Difesa: l’Europa si riarma, ma contro il nemico sbagliato

next
Articolo Successivo

Grexit, le premesse per un déjà-vu che non meraviglia nessuno

next