A maggio l’Italia è uscita dalla deflazione, cioè la tendenza dei prezzi a diminuire invece che aumentare progressivamente, come succede in tutte le economie in crescita. L‘Istat ha infatti rilevato che nel corso del mese l’indice nazionale dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,2% sia rispetto al mese precedente sia nei confronti di maggio 2014. La ripresa arriva dopo quattro mesi consecutivi di valori negativi ed è dovuta soprattutto al rialzo dei prezzi dei servizi e del costo dei carburanti.

La notizia, apparentemente amara per i consumatori, ha in realtà risvolti positivi. La deflazione infatti tende a innescare un circolo vizioso che conduce alla stagnazione dell’economia. Davanti a prezzi che scendono, i consumatori rimandano gli acquisti in attesa che i beni costino meno. Di conseguenza le aziende tendono a investire meno e a non assumere. Risultato: sale la disoccupazione, calano i consumi e l’economia si ferma. E’ il caso del Giappone negli anni Novanta. In più, la deflazione fa aumentare il tasso di interesse reale che lo Stato deve pagare per finanziare il suo debito. Così il rapporto debito/Pil sale.

Non per niente l’associazione dei consumatori Codacons ha commentato i dati dell’istituto di statistica affermando che è “un primo segnale positivo sul fronte dei prezzi”, che “potrebbe rappresentare l’inizio di una vera ripresa per l’economia italiana”. “E’ necessario che ora il governo faccia la sua parte incentivando i consumi, riducendo le tasse ed aumentando il potere d’acquisto delle famiglie”, continua la nota, “evitando come il male assoluto l’aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti previsto dalle clausole di salvaguardia, misure quest’ultime che distruggerebbero in un sol colpo i risultati finora raggiunti”. Su questo fronte si attende ancora che il governo faccia sapere come intende intervenire dopo che la Commissione europea ha bocciato le nuove norme sull’Iva, decisione che in base alla legge di Stabilità farà scattare un aumento automatico delle tasse sui carburanti a meno che non si trovino 728 milioni per tappare il buco.

Sempre venerdì l’Istat ha confermato l’uscita dell’Italia dalla recessione: nel primo trimestre 2015 il Pil è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dello 0,1% nei confronti del primo trimestre del 2014. La crescita del prodotto interno lordo non era così alta dai primi tre mesi del 2011. Un’analisi dei fattori che l’hanno determinata dà però un quadro in chiaroscuro: i consumi infatti sono scesi ancora, dello 0,1%, mentre a trainare il Pil sono stati investimenti fissi lordi (+0,3%) e scorte, salite dello 0,5%. Significa che le imprese producono per il magazzino, un segnale molto negativo. La nota mensile sull’andamento dell’economia evidenzia poi che “nei primi mesi del 2015 il mercato del lavoro non ha mostrato chiari segnali di inversione di tendenza“. Per il secondo trimestre l’istituto prevede una variazione congiunturale del Pil dello 0,2%, ma con una “forchetta” compresa tra 0 e 0,4%.

Il premier Matteo Renzi, nella sua Enews, ha commentato i dati scrivendo che “non siamo più il malato d’Europa. E se ce la mettiamo tutta possiamo tornare a guidare l’economia del vecchio continente. I dati della crescita, finalmente positivi dopo undici trimestri, ci dicono però che questa ripartenza va incoraggiata, accompagnata, sostenuta“.

 

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