Nubi scure e ammucchiate incombono sulla sedicesima tappa, il cielo è increspato come in certi quadri fiamminghi. Minacciano piovaschi improvvisi, docce gelate che i corridori odiano più della pioggia costante. Altre sembrano fiocchi di neve, sparpagliate da folate di vento, i vecchi di queste valli dicono che annunciano acqua per tre giorni, se vengono da oriente. Ma la tempesta vera è quella che sconquassa il gruppo dei corridori, quando manca una sessantina di chilometri dall’arrivo. I girini hanno già affrontato la salita da Pinzolo a Madonna di Campiglio, poi quella del Tonale, stanno piombando giù dal passo dell’Aprica, ci torneranno dopo aver affrontato il terribile Mortirolo, ascesa proposta per la prima volta nel Giro del 1990, diventata leggenda per la sua stravolgente difficoltà.

All’improvviso Alberto Contador scarta, la bici perde traiettoria. Una foratura. La malasorte lo perseguita. In discesa, bucare è pericoloso due volte. Rischi la pelle. Gli altri volano via e non li riprendi più. Manca poco al totem del ciclismo pantaniano, il Mortirolo che il 5 giugno del 1994 rivelò al grande popolo del ciclismo il talento di scalatore del Pirata. Marco Pantani andò in fuga staccando l’immenso Miguel Indurain, il misterioso Evgenij Berzin, il russo che avrebbe poi vinto quel Giro, e l’estroso Claudio Chiappucci che era il suo capitano. Impiegò 43 minuti secchi lungo gli 11,8 chilometri della salita che ha pendenze massime del 18 per cento e un dislivello di 1289 metri: trentun tornanti spietati. Solo Ivan Gotti, nel 1996, fece meglio di venti secondi.

Ivan Basso che in questo Girum 2015 si è visto molto poco, giustifica il ricco contratto che lo lega alla Tinkoff dello spagnolo, cede la ruota a El Desgraciado. L’Astana non resta a guardare. Gli uomini di Fabio Aru vanno all’attacco, il “treno” azzurro sprinta impietoso, la squadra del sardo rolla che è un piacere, il gruppo si spezza, si frantuma, si sfilaccia. Il forcing è sostenuto pure dalla Katusha di Yuri Trofimov, Serge Chernetski e Sergeij Lagutin. Trofimov, in gran spolvero già a Madonna di Campiglio. Il trio russo tenta di riprendere un gruppo di fuggitivi, e magari di agganciare l’uomo solo al comando, il canadese Ryder Hesjedal. Dietro, El Desgraciado fatica a rimettere in fila i suoi scudieri: “La situazione era molto critica”, confesserà più tardi la maglia rosa, “ho forato, Basso mi ha passato la ruota ma davanti c’era la corsa. Questo è il ciclismo”. In pochi chilometri il distacco fra Aru e Contador si fa serio.

Sono le 15 e 15 quando Hesjedal, ancora primo, arriva ai piedi del Mortirolo. Il gruppetto di Aru lo raggiunge a Mazzo di Valtellina. Contador passa con 51 secondi di ritardo. Aru è affiancato dal compagno Miguel Landa. Coi due Astana un’ottimo Steven Kruijswijk, l’olandese capitano della Lotto-Jumbo. E Trofimov. La maglia rosa si alza sui pedali, imprime un’accelerata alla bici e si lancia all’inseguimento. Più orgoglio che rabbia. L’azione è impressionante. Una danza fantasmagorica, perché il modo di pedalare dello spagnolo è come un balletto frenetico, smorzato ogni tanto da pause di tregua tattica. Il vantaggio di Aru scende subito di una decina di secondi. Contador sorpassa uno dopo l’altro tutti i corridori che lo separano dal quartetto di Aru. Che diventa terzetto, perchè Steven l’olandese allunga e guadagna una ventina di metri. Aru è in difficoltà. Landa è costretto a rallentare. Contador raggiunge lo spagnolo Igor Anton, gli sta a ruota per un minuto, poi lo molla. Nel suo mirino ora c’è il costaricano Andrey Amador, una delle sorprese di questo Giro. La maglia rosa vede ormai anche Trofimov e Hesjedal, li aggancia, li supera.

Alle 15 e 35, quando mancano 40 chilometri e 200 metri al traguardo, Contador riacchiappa Aru e Landa. E qui comincia un’altra corsa. Fabio è in giornata no. A dire il vero, non è al meglio da qualche giorno. Contador lo sa. Non si fida però di Landa. Il basco pedala composto, il volto, impassibile, è senza smorfie di sofferenza. Quello di Aru, è il ritratto di uno “al gancio”. Contador saggia Landa. Una progressione decisa, ma non decisiva. Landa non reagisce. Non immediatamente. Parlotta con Aru. Poi con l’ammiraglia. Dalla radiolina arriva il via libera. Landa con facilità riprende Contador. I due scambiano qualche parola. Raggiungono probabilmente un accordo, perché cominciano a tirare per riprendere l’olandese che li precede di una ventina di secondi.

Alle 15 e 40 Kruijswijk è riacciuffato. Contador si volta, controlla il vantaggio su Aru. La pedalata del sardo si fa pesante, scomposta. Trofimov lo raggiunge e lo stacca. In cima al Mortirolo, quota 1854, Contador lascia la soddisfazione di vincere il Gran Premio della Montagna all’olandese, terzo è Landa, a 56 secondi transitano Trofimov ed Hesjedal, a 1’52” Amador e Aru, a 2’18” il bravo Damiano Caruso. Tra fulminee grandinate e acquate, saggiamente i tre in testa evitano di forzare il ritmo e sfiorare l’ospedale. Aru guadagna una ventina di secondi, li riperde per un incidente meccanico che lo costringe a cambiare bicicletta. Cocciutamente insiste, resiste, persiste. E mantiene stabile il distacco dalla maglia rosa attorno al minuto e 40 secondi. A quattro chilometri e 200 metri dall’arrivo dell’Aprica, Landa saluta Contador e s’invola. Oggi come oggi è il più forte. Al traguardo rifila 38 secondi a Kruijswijk e Contador, Trofimov è quarto, Amador quinto, Hesjedal sesto e settimo Aru, a 2’51”. Il ventiquattrenne sardo ha perso il secondo posto in classifica, adesso lo precede Landa. Cambio della guardia in casa Astana, dunque.

Quanto a Contador, la sua rimonta appartiene al teatro del grande ciclismo: un’esibizione (quasi) memorabile. Risucchiare gli avversari sul Mortirolo è stato uno spettaccolo da antologia. Lui stesso, parlandone, si commuove: “Queste sono le cose che la gente ricorda, e che restano nella storia del nostro sport”. Elogia la brillante prestazione di Kruijswijk, “mi sarebbe piaciuto che a vincere la tappa fosse stato lui, se lo meritava”. Di Landa parla assai bene, lo teme, lo rispetta. Non avesse speso tutte quelle energie per l’inseguimento, probabilmente avrebbe vinto lui la tappa.

Come sempre, quando le salite sono feroci, il ciclismo diventa epopea. Ed emozione. La gente affolla i tornanti, si entusiasma. Venerdì e sabato sapremo se il ventiseienne Miguel Landa sarà capace di mettere in crisi Contador. La maglia rosa ha dalla sua l’esperienza e l’intelligenza, la sapienza tattica lo aiuta a gestire la corsa, il carattere e la determinazione gli impediscono di cadere nel panico, o di scivolare nella depressione anche quando la sfortuna sembra accanirsi su di te. Ha una rabbia agonistica che viene da lontano, e la voglia di tacitare gli scettici che continuano a storcere il naso nel considerare il suo palmarès, con quelle vittorie e quelle revoche…

E Tsgabu Gebremaryam Grmay? No, non l’ho dimenticato. L’ho trascurato, questo sì. Ha vissuto l’esperienza del Mortirolo, da stasera si sentirà come uno che si è appena diplomato. E’ arrivato settantunesimo, a 31 minuti e 37” da Landa. Con altri trentasette corridori, fra i quali Davide Formolo, Ivan Basso, Michael Rogers, Simon Clarke, Enrico Battaglin, Diego Rosa, Sonny Colbrelli e gran parte degli uomini dell’Astana e della Tinkoff, spremuti dai loro capitani. Si sono ritirati in tre, tra i quali il cinese Gang Xu, compagno di Grmay. In classifica, Tsgabu è 88esimo, a 2 ore 40’ e 07” da Contador. Lo stesso tempo di Luca Chirico, raro dopo sedici tappe. In Etiopia, domenica, ci sono state le elezioni generali, 37 milioni di abitanti sono andati alle urne per rinnovare i 547 posti di deputati della Camera dei Rappresentanti del Popolo. Poca suspense sui risultati – verranno resi noti tra un mese. Il Fronte Democratico rivoluzionario dei Popoli Etiopici (EPRDF), al potere dal 1991, vincerà a mani basse. La Camera uscente aveva un solo deputato dell’opposizione. Il primo ministro, Hailermaryam Dessalegn, successore dell’uomo forte del regime, Meles Zenawi, scomparso nel 2012, sarà sicuramente riconfermato.
Tsgabu spera lo stesso. Alla Lampre.

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