IPalermo: commemorazione stragi di Capaci e Via D'Amelionfuria la polemica sugli impresentabili, che riempiono le liste di molti partiti per le regionali del 31 maggio. E’ previsto addirittura che nei prossimi giorni la Commissione Parlamentare Antimafia, sulla spinta del suo presidente Rosy Bindi, renderà pubblico un elenco di candidati “impresentabili” con le relative motivazioni della loro indegnità.
Una iniziativa senza precedenti, che non si può non condividere ma che al tempo stesso lascia sbalorditi. Possibile che non ci sia modo per impedire che persone di notoria immoralità o addirittura con condanne penali si candidino alle elezioni regionali, per andare ad accrescere la già consistente armata di consiglieri che negli ultimi anni hanno riempito le cronache con le loro ruberie? E’ una domanda cui personalmente non so rispondere.

Voglio però lanciare una provocazione alle innumerevoli persone per bene, e soprattutto ai giovani: non lascino la politica ai professionisti del malaffare.

Il 19 maggio il sindaco Marino ha intitolato il giardino di Piazza della Libertà a mio padre, Ettore Troilo, avvocato antifascista, collaboratore di Matteotti fino al suo assassinio, comandante della Brigata Maiella e prefetto della Liberazione di Milano. Un uomo che dedicò tutta la vita agli ideali del socialismo e che visse i suoi ultimi anni in una modesta, per non dite critica, situazione economica, quella che egli definiva “la mia onorata povertà”. Dopo l’intitolazione, abbiamo presentato in Campidoglio un libro su di lui. Introducendo il dibattito fra vari storici e politici, ho rivolto ai presenti ed ai molto più numerosi ascoltatori di Radio Radicale una esortazione a non lasciare la politica ai “professionisti”, troppo spesso specializzati in affari e malaffare.

Ed ho ricordato che nei primi anni sessanta (per me, gli anni dell’università) erano molti i giovani che ‘facevano politica’. Il che non vuol dire che avessero in mente una carriera politica. La stragrande maggioranza di noi aveva già idee precise sul lavoro che avrebbe fatto da grande. Ma intanto ci appassionavamo al dibattito politico (che spesso alla Sapienza degenerava in botte da orbi con i fascisti romani). E per questo pagavamo anche qualche prezzo.

Ad esempio, tutte le domeniche i miei amici socialisti ed io andavamo a ritirare, alle sei di mattina, i pacchi dell’Avanti (all’epoca diretto da Riccardo Lombardi) e andavamo a vendere il giornale nelle borgate romane. Castel Giubileo e Settebagni erano quelle affidate al nostro gruppetto, e ricordo ancora le discussioni con gli abitanti delle borgate, cui spesso si accompagnava un bicchiere di vino, impossibile da rifiutare.

Ma non era solo questo il nostro impegno. La parte più difficile erano i dibattiti nelle sezioni del PSI (dove per iscriverti dovevi superare una specie di esame in cui i vecchi ‘compagni’ volevano assicurarsi delle tue buone intenzioni). Dibattiti in cui spesso noi più giovani contrastavamo con forza le nomine alle varie cariche di partito di persone che apparivano poco affidabili o non abbastanza qualificate. Oppure ci facevamo difensori – contro qualche proposta sconveniente – della linea politica del PSI, riformista e laica.

In questo modo gli iscritti (e non solo quelli più giovani) esercitavano fin dal livello di base, quello delle sezioni, un ‘controllo democratico’ di cui oggi nessuno più si fa carico.

Ormai da molti anni i giovani migliori hanno verso la politica solo un atteggiamento di disprezzo. Pensano che ‘i politici sono tutti uguali’ e che è inutile impegnarsi – e addirittura votare – perché ‘tanto non cambia nulla’. E così ‘si chiamano fuori’, pensano solo al lavoro e al privato, con un atteggiamento di quieto vivere che mi appare non particolarmente apprezzabile e soprattutto molto rischioso, specie per la generazione dei loro figli, che non potranno tutti conseguire prestigiosi master e andare a vivere in qualche paese che offra opportunità migliori del nostro.
A me pare quasi che questi giovani non abbiano presente la realtà dell’Italia, che provo a riassumere in questi dati.

Poveri: otto milioni
Disoccupati totali o parziali: sette milioni
Disabili: tre milioni
Malati di Alzheimer e altre forme di demenza: un milione
Immigrati (stimati) in condizioni di vita subumane: 3 milioni

Dati tremendi, eppure destinati a peggiorare ancora, inevitabilmente se nessuno inverte la tendenza. Eppure le risorse per far fronte a tutto questo ci sarebbero: 150 miliardi di euro di evasione fiscale, 50 legati alla corruzione, altre decine (o forse centinaia) dovuti ai privilegi e agli sprechi delle tante caste che divorano – come in Argentina o in Nigeria – la ricchezza di un paese che a fianco ai diseredati ha un ceto di privilegiati (per fare solo due esempi) che fanno dell’Italia il primo consumatore di champagne d’Europa e di Roma ‘il cliente’ che regge in vita la catena di produzione delle Smart.

Possiamo sperare che sia la classe politica che ci governa ad operare un cambiamento radicale? Temo di no. E dunque occuparsi di politica – fare politica – è una necessità assoluta se non si vuole andare verso un futuro oscuro, quando ormai resterà solo il rimpianto per non aver fatto nulla.

Prego chi mi legge di ‘far girare’ queste riflessioni. E di ricordare – e ricordarlo ai giovani – quel che Gramsci scriveva nei suoi quaderni dal carcere: “L’indifferenza è il peso morto della storia”.

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