Dunque è finita un’epoca e stasera chi vorrà potrà vederne la conclusione su Rai 5, quando andrà in onda la replica dell’ultima puntata del Late Show, il talk di David Letterman iniziato 33 anni fa su Nbc per approdare poi a Cbs. Per tutti questi anni, soprattutto nelle ultime stagioni, dopo che il programma era diventato un classico con grandi ascolti, grandi ospiti, grande incidenza sull’opinione pubblica e grandi speranze di emulazione, abbiamo dovuto ascoltare una serie di sospirose manifestazioni di ammirazione per il suo successo, con relativa analisi.

Ah! lui sì che ha ospiti che sono delle vere star, dello spettacolo, della politica, della cultura! Mentre nei nostri talk circolano politici, attori e scrittori di provincia. Ah! lì sì che si vede come a monte ci sia una scrittura fatta da grandi professionisti, rappresentanti della grande scuola americana! Non come da noi dove gli autori sono degli improvvisatori. E poi lì sì che si può parlare agli ospiti con la giusta cattiveria, senza timori reverenziali, senza censure e autocensure! Mentre qui da noi i conduttori fanno i conti con le prudenze e le pressioni del potere. Tutte cose vere, per carità, ma che a forza di sentirle mi sono venute a noia fino a sembrarmi un po’ dei luoghi comuni.

Per cui preferirei celebrare questa giornata storica con altre considerazioni che riguardano la struttura interna del programma, la sua scrittura televisiva. Credo che la qualità e il successo dello show siano legate alla personalità del conduttore, al suo atteggiamento che riunisce cordialità e ironia, entusiasmo e un po’ di cinismo, ma anche alla costruzione dello spazio televisivo e della prossemica, all’utilizzo di alcuni elementi simbolici da cui deriva la dimensione di ritualità del programma. E a proposito di ritualità, non si può fare a meno di notare come, in questa fase di superamento definitivo della tv basata sulla condivisione dell’appuntamento, la presenza di una proposta ben definita e circoscritta in un tempo preciso e comune, come il Late Show, contasse ancora parecchio proprio nella società televisivamente più evoluta. Insomma la tv generalista sarà anche morta ma fino a un certo punto, soprattutto quando si incontra qualcuno che la sa fare.

Infine in questo momento di malinconia un piccolo motivo di consolazione, un sospiro di sollievo che l’uscita di scena di Letterman dovrebbe fare tirare a tutti. Nessuno d’ora in poi, infatti, si sentirà più in dovere di dire, al suo esordio o presentando un progetto, “voglio fare come Letterman, voglio portare in Italia il Late Show, il mio modello è il talk di Letterman”. Frasi che ho sentito un mucchio di volte e che, non so se ve ne siete accorti, a chi le ha pronunciate hanno portato sempre una sfiga pazzesca.                   

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