Astrid Varnay, astro indimenticato della Nuova Bayreuth di Wieland Wagner si ritirava dalle scene ‘solo’ 20 anni fa per poi morire nel 2006. Merito di una carriera lunga più di cinquant’anni, iniziata con il debutto al Met nel 1941 in una Valchiria che è conservata in disco, in cui sostituiva nientemeno che la mitica Lotte Lehmann, praticamente senza prove. Era giovanissima eppure per il ruolo pur impegnativo di Sieglinde era già musicalmente matura. Aveva 23 anni, svedese con sangue ungherese e italiano nelle vene. Si fece le ossa al Met in quasi tutti i ruoli wagneriani. Il grande debutto europeo, quello che la consacrò, fu sul palco di Bayreuth alla riapertura del Festival, dopo le distruzioni della guerra, nel 1951. Fu l’incarnazione della Brünnhilde ideale per tredici anni, finché non passò il testimone a Birgit Nilsson. Nel più grande ruolo femminile wagneriano la Varnay portava il suo timbro particolarissimo, la sua grande capacità attoriale e la sua mobilità di accenti quella soprendente abilità nel mimare stati d’animo credibili con il canto, tramite minime inflessioni, micropause, insomma tutto l’armamentario della grande cantante-attrice. Ma quello che stupiva, oltre alla sua intelligenza di interprete, era la sovrabbondanza di mezzi naturali, una voce estesissima (il re bemolle della Lady Macbeth di Verdi!), enorme in teatro: capace di sovrastare le ciclopiche masse orchestrali tardoromantiche. E poi la sua spettacolare dizione, che era chiarissima, tanto da poter scrivere il testo quasi sotto dettatura, vera unione di canto e parola, come Wagner voleva.

Per rendersi conto dei risultati raggiunti dalla cantante all’acme dei suoi mezzi la Dg, nella sua propaggine australiana, ha ristampato due dischi wagneriani incisi negli anni Cinquanta, quelli del suo splendore vocale senza pari. Si può apprezzare come anche nello studio di registrazione il miracolo si riuscisse a compiere, complici direttori ‘amici’ e un compagno di avventure altrettanto intelligente quale Wolfgang Windgassen. Sono due dischi con una buona parte del secondo atto del Tristano e altre pagine celebri dal Ring oltre ai Wesendonck Lieder. Dischi che fanno rimpiangere il poco interesse della Varnay per lo studio di registrazione, ma per fortuna i ‘live‘ registrati anche molto bene esistono e sono numerosi, proprio nel capitale repertorio wagneriano. Pochi anni fa è stato anche riesumato dalla Testament, etichetta sempre ricca di sorprese, il primo Ring Decca registrato stereo (e live) a Bayreuth nel 1955 con Keilberth come direttore e lei come Brünnhilde, accantonato per lasciare spazio al progetto della registrazione in studio con Solti: trouvaille quanto mai preziosa e insperata, che fa di quell’Anello uno dei più belli mai incisi. Lei ne esce superba: la voce d’acciaio domina la parte come poche altre interpreti l’hanno dominata nella storia di quel ruolo così difficile, ed era riuscita a brillare con i direttori più diversi, trovando nuove sfumature del personaggio ad ogni passaggio di bacchetta: da Krauss, a Knapperstbusch da Karajan a Keilberth.

Ma oltre ai grandi ruoli wagneriani, che rimangono i suoi maggiori (e dovremmo ricordare almeno la sua Ortrud, forse la più grande della storia del disco e la sua bellissima Isotta) fu forse la più grande Elektra della seconda metà del Novecento e bastano a testimoniarla una precoce incisione nel 1953 e la migliore e inarrivabile che è senz’altro quella live a Salisburgo del 1964 con Herbert von Karajan, ristampata ottimamente dalla Orfeo. Una ripresa sonora della radio austriaca non eccezionale ma che ci rende testimonianza di uno scatenamento bacchico senza possibili paragoni, la voce già usurata ma sempre intensissima e terragna, che si precipita verso l’urlo; un dominio assoluto della parte che sembra vissuta nella carne e come antagonista l’altra grande di Bayreuth degli anni ’50 e sua storica ‘rivale’ e amica, Martha Mödl quale Klytemnästra. Non è forse un caso se Karajan non registrò mai in studio l’Elektra, non potendo più ricreare quella che aveva avuto in carne ed ossa sul palco. Meno significative sono state le puntate sul repertorio italiano, tra queste va ricordata almeno la sua bella Lady Macbeth nell’opera di Verdi.

E’ proprio su cantanti come queste che si è creata l’aura di un tempo irrimediabilmente perduto, un’epoca d’oro dell’interpretazione wagneriana che non tornerà mai più ma che contrariamente ad altre epoche d’oro ha avuto la fortuna di avere dei microfoni attenti tra gli spettatori.

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