Cyborgs CoverNonostante provengano da un futuro non definito, la two man band The Cyborgs, composta da “0” e “1”, come i simboli del codice binario, subiscono la profonda fascinazione di un genere datato come il blues. Ed è attraverso la musica del diavolo che esprimono i loro timori, sperando di riuscire a redimere e a smuovere le coscienze delle masse. Normalmente comunicano attraverso il codice binario, artefice dell’inizio dell’era tecnologica, “ma con lo sviluppo tecnologico – afferma Cyborg 1 – l’uomo, in futuro, si autodistruggerà”. La loro missione, dunque, è quella di salvare il genere umano attraverso il blues, a cui hanno deciso di dare una bella spolverata, perché “quando si parla di blues – prosegue 1 – si fa sempre riferimento ai grandi del passato, quando in realtà è un genere in continua evoluzione. Lo spirito con il quale ci cimentiamo ci permette di innovarlo, rinnovarlo e renderlo fruibile ai giovani”. Lo scorso 1° maggio è uscito il loro terzo album, Extreme Boogie, composto da 13 brani autobiografici, dove raccontano esperienze passate, presenti e future.

Come i Daft Punk, si presentano nascosti sotto a un casco, ma nel loro caso, da saldatore: “È un modo per contrastare questa società sempre più ossessionata dal culto dell’immagine. Attraverso un casco da saldatore si riescono ad avere percezioni, visioni e ascolti diversi da quelli che si hanno normalmente. La nostra identità è la stessa maschera che indossiamo”. E mentre 0 diffonde il verbo dal microfono installato nel suo casco e suona la chitarra, 1 gestisce la parte ritmica di basso e batteria, due washboard e strani ammennicoli elettronici ai piedi, nonché sinth e piano, dando vita a un sound e a tecniche esecutive al di fuori della portata di qualsiasi essere umano. Di seguito l’intervista che abbiamo fatto loro per conoscerli più a fondo. Le risposte sono state inviate dai Cyborgs via web e tradotte dal codice binario in lingua comprensibile.

Con quale spirito voi Cyborgs vi cimentate con la musica blues?
Sia io Cyborg One che Cyborg Zero siamo entrambi appassionati di blues: è grazie alla passione che proviamo per questo genere che ci siamo incontrati strada facendo. Abbiamo deciso di dare una spolverata a questo stile che sembra essere invecchiato. Quando si parla di blues, infatti, si fa sempre riferimento ai grandi del passato, quando in realtà il blues è un genere in continua evoluzione.

Il problema è che il blues non viene incoraggiato in Italia.
Già, non viene passato in radio né in tv, non c’è una grande cultura e non abbiamo una grossa educazione al suo ascolto. Però, poi quando andiamo ai concerti blues ci accorgiamo che in realtà è un genere musicale che piace a tutti, sia ai giovani che agli adulti.

Come vi è venuta l’idea di aggiungere l’elettronica a una musica come il blues?
L’idea è venuta perché essendo solo in due, e volendo rimanere solo in due, per sopperire alla mancanza di musicisti abbiamo aggiunto strumenti musicali che suoniamo contemporaneamente. In pratica facciamo tutto da soli.

Credi che quella del duo sia una formula vincente?
È una formula che negli ultimi anni è stata vincente, come dimostrano i White Stripes e i Black Keys. Ma anche la formula del one man band, che si è affermata in questi ultimi anni e sembra abbastanza chiaro che il motivo del successo sia dato da questa crisi sociale ed economica che pervade ormai gran parte dell’Europa e del mondo. Essere in pochi fa sì che sia più facile viaggiare, che sia meno dispendioso fare qualsiasi cosa. Credo che il one man band e il duo, derivino proprio da queste esigenze.

Quali sono i vostri artisti di riferimento?
Gli artisti a cui ci rifacciamo sono molti e la gran parte sono quelli che hanno preso spunto dalla musica che si suonava nel delta del Mississippi. E da artisti come ad esempio Robert Lee Burnside, Junior Kimbrough, Mississippi Fred McDowell, Muddy Waters e tanti altri. Poi c’è Robert Johnson, che è un’icona del blues classico, parliamo degli anni 20 e 30, che sta alla base del blues in generale. I Cyborgs hanno cercato di attingere da artisti che già un minimo avevano innovato dopo Robert Johnson.

Voi tendete a essere molto misteriosi, un po’ alla maniera dei Daft Punk. Si può sapere chi è che si cela dietro quei caschi di saldatore?
Dietro quei caschi da saldatore ci sono due persone che vengono dal futuro e che non hanno intenzione di svelare la loro identità. È un po’ un modo per contrastare questo fenomeno dell’immagine che oggi pervade la tv, i giornali e la Rete. Sembra come se oggi si possa essere qualcuno solo se si appare. Quindi coprire la propria immagine è un po’ cercare di cambiare un minimo questo concetto. Attraverso un casco da saldatore, si riescono ad avere percezioni, ascolti, visioni, diversi da quelli che si hanno normalmente. L’identità è la stessa maschera da saldatore. La faccia che hanno i Cyborgs è esattamente quella. Inoltre sottolineerei il fatto che quella da saldatore non è una maschera, bensì uno strumento di lavoro.

Qual è il vostro background artistico?
Da sempre appassionati di musica blues, dal 2009 io e Cyborg 0 ci siamo incontrati e abbiamo deciso di suonare in questa maniera, l’ultimo che potete ascoltare, il nuovo disco è il traguardo dove siamo arrivati per ora.

Extreme Boogie è il vostro terzo disco.
È un disco registrato in vari momenti tra il 2014 e il 2015 che racconta molto dei nostri viaggi tra l’Italia, l’Inghilterra, l’Europa in generale e la Russia. Le canzoni parlano delle esperienze che abbiamo vissuto anche durante i nostri tour, mentre a livello musicale ha un piglio diverso, è molto electro boogie e all’interno vi sono tre brani già pubblicati in 45 giri lo scorso anno per tre diverse etichette indipendenti.

Cosa vi aspettate che chi ascolta questo disco riesca a cogliere?
Spero che colga la voglia di rispolverare questo stile musicale, renderlo fruibile alla massa e che possa essere utile a chi non conosce il blues e grazie al nostro disco scoprire artisti di cui non conosceva l’esistenza. Alla stessa maniera mi auguro che chi ama il blues possa attraverso questo disco, avere qualcosa in più, qualcosa di nuovo che porti avanti il verbo del blues.

Siete reduci da una tournée in Inghilterra. Mi racconti come è andata?
Abbiamo avuto nove date in Inghilterra… Ogni volta che torniamo da quelle parti sembra meglio. È un territorio per noi ancora da scoprire ma sembra si sia creato molto interesse nei nostri confronti. Abbiamo una bella fan base di persone che vengono ai nostri concerti.

Esibendovi lì, che differenze hai notato rispetto all’Italia?
Le differenze sono molte e basta andare fuori dall’Italia per accorgersi delle differenze. C’è una cultura e una educazione all’ascolto molto diversa rispetto all’Italia. La musica è gestita in maniera diversa. Il musicista è molto più considerato e tutelato. Chiaramente in Italia ci sono tantissime cose che all’estero non ci sono, ma dal punto di vista artistico purtroppo dobbiamo riprenderci.

Hai qualche consiglio da dare al riguardo?
I consigli vanno dati alle persone e non a chi gestisce le persone. Non smettiamo di andare ai concerti, agli eventi culturali di ogni tipo, non smettiamo di investire. Bisogna che tutte le musiche, tutte le arti, che tutte le opinioni possano farsi ascoltare anche se l’indice di gradimento resta al grado zero. Bisogna fare che si sia noi a scegliere, altrimenti non saremo mai liberi. Se no è tutta imposizione, tutta industria, tutto marketing.

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