Premetto che non ho mai condiviso l’interpretazione della politica di Renzi, del suo linguaggio e della sua attività, come una nuova forma di berlusconismo. Sono identificazioni che mi lasciano sempre perplesso, frettolose e un po’ superficiali. Poi all’improvviso una domenica accade un fatto, una dichiarazione apparentemente marginale che mi costringe a ripensarci. Protagonista la ministra Boschi che nel corso di una manifestazione elettorale se ne esce con questa domanda retorica: “La scuola solo in mano ai sindacati funziona?”. E, tanto per non lasciare spazio a dubbi sul suo pensiero, aggiunge “io credo di no”. Neanch’io lo credo. E penso che non lo creda nessuno. Neppure un leader sindacale, neppure l’insegnante più sindacalizzato auspica una scuola in mano “solo” al sindacato. Il problema non esiste. Esiste invece un altro problema che le parole della ministra aprono, senza che lei se ne accorga. In mano a chi è, in mano di chi è stata la scuola pubblica italiana in questi anni? Direi a nessuno. Non certo ai sindacati, spesso divisi, poco rappresentativi, non in grado di incidere con i loro interventi e, di conseguenza, travolti da una generale sfiducia nei loro confronti. Non ai ministri che si sono succeduti negli ultimi vent’anni, pessimi, senza un vero progetto che non fossero le panzane delle tre i o quello di usare la scuola per fare cassa con tagli orizzontali ideati da quel genio di Tremonti. Una parentesi doverosa: si salva da questa galleria degli orrori il ministro Profumo che nei pochi mesi del suo mandato ha lavorato bene su poche idee semplici e razionali, rivelandosi a posteriori uno dei pochi politici veri in un governo di sedicenti tecnici che giustamente Orfini ha designato come “pippe”. E in questa definizione è stato generoso.

Ma torniamo alla scuola, che non è neppure in mano ai presidi, ai mitici dirigenti a cui dovrebbero andare nei piani renziani straordinari poteri e responsabilità, ma che, almeno per ora, mi sono parsi classe dirigente più di nome che di fatto, non certo un gruppo capace di trainare in avanti il sistema sul piano culturale e che, a onor del vero, sono stati costretti a fare, come si suol dire, le nozze con i fichi secchi. Non si può certo dire, di questi tempi, che la scuola sia in mano agli studenti, poverini, vittime di un tempo gramo in cui si trovano costretti a fare ogni giorno “il lavoro duro di essere uomo e non sapere cosa sarà il futuro” (eh! Baglioni sì che ci capiva della condizione giovanile). Non restano che gli insegnanti.

Loro sì che hanno avuto in questi anni in mano la scuola. Ma non nel senso in cui l’intende la Boschi. Hanno avuto in mano la scuola non come potere decisionale, ma nel senso che hanno tirato avanti la carretta, arrabattandosi ogni giorno per risolvere i problemi, con stipendi inadeguati, facendo salti mortali per far trovare la carta igienica nel gabinetti e i libri in biblioteca, per studiare un’offerta formativa dignitosa nei singoli istituti senza nessuna organizzazione che li sostenesse, né i sindacati, né i politici a cui spetterebbero per primi questi compiti. E allora la domanda retorica della ministra è solo una sparata antisindacale, fatta ad arte per alimentare dei sospetti, per inventare un pericolo che non c’è da nessuna parte, per creare il solito fumus anticomunuista già visto e sentito mille volte: una forma di comunicazione veramente alla Berlusconi, che assimila un governo che voleva “cambiare verso” al paese ai peggiori metodi di propaganda dei suoi predecessori e che rivela come purtroppo una certa dose di berlusconismo sia davvero presente nel renzismo.

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