Il governo italiano vuole lanciare subito l’operazione anti-scafisti in Libia, prima di un esodo migratorio estivo prevedibilmente drammatico. Il dispositivo militare è pronto a intervenire in qualsiasi momento. Manca solo il via libera dell’Onu, cui l’Italia ha chiesto l’autorizzazione all’uso della forza per distruggere i barconi dei trafficanti non solo in alto mare, ma anche nelle acque territoriali libiche e sul territorio costiero libico, sul modello dell’operazione militare europea ‘Atalanta’ contro la pirateria somala. La bozza italiana di risoluzione presentata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sostenuta da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, non piace molto alla Russia, che per bocca del suo rappresentante all’Onu, Vitaly Churkin, ha dichiarato che “distruggere i barconi significa spingersi troppo in là”. Tantomeno piace al governo islamico di Tripoli – quello non riconosciuto dalla comunità internazionale – che dopo aver più volte detto che non accetterà azioni unilaterali sulle sue coste, ha annunciato il dispiegamento di pattuglie armate a presidio dei porti in cui operano gli scafisti, in teoria per contrastarli.

Difesa: “Nostre navi militari pronte all’azione”
“La necessità di agire prima dell’estate per prevenire una situazione che sarebbe ingestibile è evidente – spiegano dallo Stato maggiore della Difesa – e il dispositivo aero-navale attualmente dispiegato nel canale di Sicilia nell’ambito dell’operazione ‘Mare Sicuro’ è pronto a entrare in azione in base a quelle che saranno le direttive che giungeranno dal governo. Chiaramente, nessun’azione è pensabile senza l’avallo delle Nazioni Unite. Attualmente – spiega la Difesa – nelle acque prospicienti la Libia incrocia una squadra navale composta da due fregate, la classe Fremm “Virginio Fasan” e la classe Maestrale “Espero“, dal cacciatorpediniere lanciamissili ‘Durand de la Penne’ e dai pattugliatori ‘Comandante Foscari’ e ‘Bersagliere’. Sulle navi sono imbarcati elicotteri e un contingente di fucilieri di marina della brigata ‘San Marco’. A questo si aggiunge il pattugliamento di aerei e velivoli a pilotaggio remoto”, cioè gli aerei Atlantic e i droni Predator che decollano dalla base di Sigonella. Fuori dal dispositivo ‘Mare Sicuro’, incrocia in zona anche la nave d’assalto anfibio ‘San Giusto’, quella su cui Renzi ha ricevuto il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon.

Cannoni, missili ed elicotteri per distruggere i barconi
Secondo l’analista militare Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa.it, “queste navi sarebbero già più che sufficienti per lanciare azioni mirate sulla costa libica”. Le cinque unità navali di ‘Mare Sicuro’ sono infatti dotate in abbondanza di armi e mezzi ideali per colpire i barconi dei trafficanti sia dal mare che dal cielo. I cannoni super rapidi da 76 mm possono colpire con precisione obiettivi navali e costieri fino a 5 chilometri di distanza grazie al munizionamento a guida radar. Meglio ancora possono fare i cannoni contro-costa da 127 mm con munizioni a guida satellitare e i missili superficie-superficie a lunga gittata Teseo Mk2/a, anch’essi a guida Gps. I barconi potrebbero essere colpiti sulla costa anche dai missili aria-superficie lanciati dagli elicotteri da attacco imbarcati AB212 e Nh90 oppure distrutti in blitz terrestri di squadre di marò sbarcati dagli elicotteri da eliassalto anfibio imbarcati Eh101. Se poi si aggiunge nave ‘San Giusto’, dotata anche dei nuovi droni Camcopter S-100 per la sorveglianza aerea, diventerebbero possibili azioni terrestri anche più estese e impegnative, con l’impiego di motoscafi veloci da assalto e lo sbarco di 330 soldati e 36 cingolati da combattimento VCC-1.

Bombardare i barconi non serve e pagano i migranti
“In poche ore potrebbero aggiungersi anche portaerei e portaelicotteri – spiega Gaiani – ma evidentemente il problema non sono i mezzi, bensì gli obiettivi. Ammesso e non concesso di riuscire a individuare queste piccole imbarcazioni, facilissime da nascondere, se si colpiscono solo i barconi bombardandoli dal mare, dal cielo o con azioni di incursori, ma senza colpire anche la rete dei trafficanti e delle milizie loro alleate, i migrati verranno usati come scudi umani o uccisi per rappresaglia, magari su base religiosa, inducendo ben presto il governo a fermare queste azioni. E’ inutile farsi illusioni: distruggere qualche barca non fermerà i trafficanti e a frane le spese saranno i migranti. Se si vuole veramente fermare questi farabutti senza scrupoli – continua il direttore di Analisidifesa.it – bisogna intraprendere un azione decisa e coraggiosa contro di loro, non solo contro le loro imbarcazioni ma anche contro i loro nascondigli, con azioni terrestri ‘mordi e fuggi’ condotte da forze speciali e lanciate dal mare, mettendo quindi in conto il rischio di scontri armati non solo con i trafficanti, ma anche con le agguerrite milizie che controllano il territorio e con le stesse forze armate del governo illegittimo di Tripoli, colluso con i trafficanti. Ovviamente, il rischio di perdite tra i nostri militari sarebbe elevato: un rischio che l’Italia sarebbe pronta a correre?” – si domanda Gaiani.

Il falso modello dell’operazione antipirateria ‘Atalanta’
Domanda retorica. Infatti, a Roma come a Bruxelles e a New York si continua a parlare solo di meno impegnative azioni mirate contro i barconi a riva, sul modello dell’operazione navale dell’Ue nell’Oceano Indiano. “Peccato – spiega Gaiani – che non si dica che l’operazione ‘Atalanta’ abbia visto solo in un occasione, la notte del 15 maggio 2012, scattare un’operazione sulla costa somala contro gli skiff dei pirati. Dopodiché i pirati minacciarono di uccidere tutti i loro ostaggi occidentali se simili attacchi si fossero ripetuti, e ovviamente non si ripeterono più. Il fenomeno della pirateria somala è cessato solo quando gli armatori hanno iniziato a imbarcare sui loro mercantili personale militare e soprattutto guardie private che sparavano raffiche di mitra ai barchini dei pirati non appena li vedevano comparire all’orizzonte. Soluzione non applicabile ai barconi carichi di migranti”.

Ma allora cosa fare?
Secondo Gaiani, l’unica soluzione resta quella del respingimento assistito dei migranti, scartato dal governo per la sua contrarietà al diritto internazionale – già nel 2012 l’Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per i respingimenti in mare verso la Libia di Muammar Gheddafi. “Continuo a ritenere – conclude Gaiani – che l’unica strada logica e realistica da percorrere sia quella di un dispositivo navale a ridosso della costa libica per intercettare e bloccare i barconi appena partiti, per poi affondarli una volta tratti in salvo i migranti e riportati a terra in sicurezza sotto scorta armata: presto le partenze cesserebbero perché i trafficanti non avrebbero più clienti disposti a pagare cifre enormi solo per ritrovarsi pochi minuti dopo sulla stessa spiaggia da cui sono partiti. Spetterebbe poi all’Onu predisporre operazioni umanitarie per rimpatriare i migranti con ponti aerei, come già avvenuto nel 2011 in Tunisia per il rimpatrio di oltre un milione di lavoratori stranieri fuggiti dalla Libia in guerra”.

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