E’ una proposta semplicissima: consentire la massima trasparenza su ciò che accade durante lo svolgimento dei tavoli di crisi industriale gestiti dal Ministero dello Sviluppo economico, cui possono partecipare normalmente solo i ministri, i dirigenti del ministero incaricati di seguire la politica industriale, i rappresentanti delle aziende e le organizzazioni sindacali.

Non me ne voglia il governo, ma in Parlamento ci sono centinaia di interrogazioni che chiedono, a vario titolo, di convocare questi tavoli, di sapere come evolvono e, in particolare, delle iniziative che saranno assunte per assicurare il mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali delle aziende o degli stabilimenti coinvolti.

C’è qualcosa di assurdo però. Al di fuori delle persone prima citate, non si consente, di fatto, a nessuno, neanche ai parlamentari, di assistere a questi tavoli, il cui verbale, peraltro, viene anche pubblicato con ritardo sul sito del Ministero dello Sviluppo economico.

Sia chiaro. Non si tratta di accusare o rimproverare qualcuno su come siano gestite in concreto determinate procedure, ma di prendere atto di un problema: che il Paese sta scoppiando e non esiste alcuno strumento di trasparenza e partecipazione attiva che coinvolga il Parlamento nella discussione utile e costruttiva del problema delle crisi industriali, anche a causa di una certa opacità che da sempre caratterizza il mondo della politica industriale: opacità che un Paese come il nostro, in questo momento storico, non può continuare certamente a permettersi.

Che succede in questi tavoli? Che si fa? Come si arriva a certi accordi? Quante persone saranno mese in mobilità? Sono queste le principali domande che si fanno le persone ogni volta che si convoca un tavolo. Anche i parlamentari. E hanno ragione. Perché sono pubblici ufficiali e rappresentati della nazione, ma non possono a seguire da vicino determinate questioni, anche per proporre in sede parlamentare le misure più utili per superare le criticità.

Quello della trasparenza è un problema evidente e non c’è tempo per rifletterci su.

La vertenzialità in questi ultimi anni è cresciuta in maniera esponenziale e, purtroppo, più si va avanti, e peggio è, non tanto e non solo per il numero dei tavoli aperti (solo per inciso, ricordo che nel 2012, quando il ministro dello Sviluppo era Corrado Passera, i tavoli “certificati” ammontavano a 135, nel 2013, con Flavio Zanonato, il numero dei tavoli saliva sino ad arrivare nel giugno 2014, con il ministro Guidi, a 152 tavoli di crisi con 147.500 dipendenti coinvolti), ma soprattutto per l’importanza strategica che quelle aziende, quegli stabilimenti industriali, oggi a rischio chiusura oppure svenduti al miglior offerente straniero- rivestono per il nostro Paese.

E’ su queste situazioni che il Presidente Renzi dovrebbe mettersi in gioco: la Indesit Whirpool di Carinaro, la Prysmian di Ascoli, l’Ansaldo Breda, l’Auchan, il MercatOne ecc. Perché alla gente normale dell’Expo o della legge elettorale importa si, ma fino a un certo punto, se poi vede saltare i posti di lavoro e l’industria del proprio Paese.

Sulla valutazione delle vertenze aziendali dovrebbe essere consentita la massima trasparenza da parte del governo, come pure il coinvolgimento attivo di tutte quelle le forze sociali, politiche, istituzionali e finanziarie in grado di individuare gli strumenti più adeguati per affrontare la drammaticità della situazione.

E’ ora che il governo esca fuori da questa forma di isolazionismo, perché pensare che quelle vertenze possano essere affrontate tutte solo grazie all’impegno del Dicastero dello Sviluppo economico è utopico. Anzi impossibile. Servono politiche industriali mirate e per questo ci vuole l’apporto di tutti e, in primo luogo, del Parlamento.

Aprire un tavolo è importante, ma si dovrebbe trattare di un momento di confronto pubblico e partecipato nel senso più positivo e costruttivo del termine. Arrivare a giochi fatti, del resto, non serve veramente a nessuno.

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