Parte da Napoli e attraversa tutta l’Italia la prima edizione della Settimana della consapevolezza, un’iniziativa organizzata dall’Associazione Ccsvi nella sclerosi multipla Onlus “per sostenere la ricerca e l’assistenza dei pazienti ammalati di insufficienza venosa cronico cerebrospinale”. Dal 3 al 10 maggio, infatti, anche l’Italia per la prima volta, prenderà parte, attraverso un ricco calendario di iniziative all’insegna di arte e musica, alla Giornata mondiale della Ccsvi, un’idea nata negli Stati Uniti per sensibilizzare popolazione e istituzioni sulla patologia scoperta dal dottor Paolo Zamboni, direttore del Centro malattie vascolari dell’ospedale Sant’Anna di Ferrara, che ne postulò una correlazione con la sclerosi multipla assieme al neurologo Fabrizio Salvi dell’ospedale Bellaria di Bologna. Da Catania a Grosseto, da Livorno a Bari, quindi, decine di orchestre e musicisti si esibiranno nell’arco di sette giorni per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla Ccsvi: “Una malattia riconosciuta a livello internazionale dalla comunità scientifica – sottolinea Gabriele Reccia, presidente nazionale dell’associazione Onlus – ma che in Italia non ha ancora avuto alcun riconoscimento istituzionale, con inimmaginabili conseguenze sulla mancata presa in carico dei pazienti”.

A Roma, ad esempio, il presidente del Senato Pietro Grasso e Papa Francesco assisteranno, rispettivamente il 4 e il 6 maggio, al concerto dell’Orchestra giovanile Falcone e Borsellino di Catania, mentre il soprano Dominika Zamara si esibirà il 3 maggio a Napoli. Ancora, la Camerata musicale Ligure suonerà a Genova il 5 maggio, mentre Bologna, capoluogo della regione che ha firmato la scoperta della patologia, ospiterà il soprano Monica Minarelli e gli allievi della scuola di Musica Jacqueline du Pré.

La Ccsvi, o insufficienza venosa cronica cerebrospinale, spiega Reccia, “è una patologia vascolare scoperta tra il 2006 e il 2007 dal dottor Zamboni, che ha rilevato che nei malati di sclerosi multipla può verificarsi un’alterazione venosa che corrisponde a malformazioni venose all’altezza del collo e del torace, che per essere rimossa richiede un intervento di angioplastica dilatativa”. La prima e controversa ipotesi, formulata da Zamboni, postulava una correlazione diretta tra la Ccsvi e la sclerosi multipla, tuttavia nel 2010 studi scientifici ridimensionarono il rapporto tra le due patologie, collocando l’insufficienza venosa cronica cerebrospinale come una delle possibili conseguenze, e non delle cause, della sclerosi multipla. “Va precisato – sottolinea Reccia – che la Ccsvi non si presenta in tutti i casi di sclerosi multipla, né ne rappresenta una cura, e che non sempre è trattabile, non vogliamo vendere false speranze. Però gli studi del dottor Zamboni, che assieme a un team di ricerca ferrarese sta lavorando ad alcuni esperimenti programmati all’interno della Stazione spaziale internazionale, in collaborazione con l’astronauta Samantha Cristoforetti, dimostrano che interessa un’alta percentuale di malati, e in alcuni casi è riscontrabile anche in concomitanza di altre malattie neurodegenerative come il Parkinson, l’Alzhaimer, la sindrome di Ménière e le Cefalee su base vascolare, e che intervenendo è possibile migliorare la qualità della vita dei malati”.

Il problema, spiega l’Associazione, “è che a livello istituzionale siamo fermi a una circolare del 2011, che consente un intervento per persone ammalate di sclerosi multipla con Ccsvi solo all’interno di studi con comitati etici e controllati. Ma se da un lato, dal 2011 a oggi, è stata prodotta una letteratura scientifica che non è stata considerata, dall’altro quella circolare è stata interpretata in altro modo dai diversi assessorati regionali, il che ha generato confusione, e si è creata una disparità tra cittadini, che spesso devono percorrere migliaia di chilometri per spostarsi da una Regione all’altra e operarsi”. Ciò che l’Associazione vorrebbe, ed è alla base della prima Settimana della consapevolezza in Italia, “è che la Ccsvi sia riconosciuta a livello istituzionale, così che i malati siano presi in carico dalla sanità pubblica”.

Allo scopo di agevolare la diagnosi e la cura, quando possibile, della malattia, l’Associazione sta lavorando anche all’apertura di hub regionali dedicati all’assistenza ai pazienti. E il primo centro italiano per i malati di Ccsvi aprirà a Granarolo dell’Emilia, con la collaborazione della Fondazione BeNe dell’ospedale Bellaria di Bologna e del Comune di Granarolo, che a partire dal 2015 metterà a disposizione dei malati un percorso terapeutico – assistenziale volto a “prevenire lo sviluppo e l’aggravamento della patologia favorendo una migliore autonomia e la piena partecipazione alla vita sociale”.

“Vorremmo portare a Granarolo – racconta Francesco Tabacco, presidente della Onlus in Emilia Romagna – i risultati degli studi condotti con il capitano Cristoforetti, che sta testando nello spazio un pletismografo, cioè un collare che permette di studiare la circolazione cerebrale e venosa in modo non invasivo. Il progetto potrebbe permettere di superare l’attuale situazione di screening per la Ccsvi, spesso non possibile nei centri pubblici”.

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