Oggi sono in piazza, “ma domani siamo pronti a circondare il Parlamento”. Il 5 maggio dei comitati bolognesi, Articolo 33 da un lato, e Scuola e Costituzione dall’altro, protagonisti della battaglia contro i finanziamenti pubblici alle scuole paritarie private andata in scena due anni fa all’ombra delle Due Torri, vinta ma rimasta inascoltata, non finisce con cortei e striscioni. “La riforma del duo Renzi – Giannini è la peggiore di sempre – sottolinea Bruno Moretto, rappresentante di Scuola e Costituzione – e noi continueremo a lottare per far capire all’Italia che il mondo della scuola non la vuole”. L’interlocutore degli insegnanti che nel 2013 ribaltarono un verdetto che pareva già segnato, quello, cioè, iscritto nei quesiti referendari del maggio di due anni fa, quando Bologna, fortezza Democratica ma anche della Curia, fu invitata a scegliere se continuare o meno a sovvenzionare le scuole paritarie private con il denaro pubblico, con il sindaco Virginio Merola, quota Pd, capofila dei favorevoli, e i comitati in prima linea tra i contrari, vincitori a sorpresa con il 58,8% dei voti, però, non è il governo.

“La forza per opporsi a questa riforma sono i cittadini, gli stessi che nel 2013 chiesero al Comune di Bologna di spendere il denaro dei contribuenti per la scuola pubblica, invece che per gli istituti privati, per lo più cattolici. La scuola non è un problema solo degli addetti ai lavori, del resto, e noi come comitati stiamo lavorando per coinvolgere anche le famiglie, gli italiani. Negli istituti, infatti, l’opposizione al ddl Renzi e Giannini è già maggioritaria – sottolinea Moretto – il vero punto è spiegare a chi è all’esterno cosa c’è scritto su quel provvedimento. Sconfiggere la propaganda del premier, rispondere ai suoi annunci da campagna elettorale, che in mezzo alle promesse grandiose nascondono, come in questo caso, un processo di demolizione dei diritti iniziato con il Jobs Act”.

Nella classifica delle peggiori riforme della scuola di sempre, spiega Katia Zanotti, del comitato Articolo 33, “quella attualmente all’esame della Camera è senza dubbio la peggiore. E il motivo è semplice: viola la Costituzione. Sacrifica la libertà d’insegnamento, il pluralismo, il concetto di una scuola di qualità per tutti sull’altare di Confindustria, del mercato e del denaro. Così, gli istituti diventeranno aziende guidate dalla logica imprenditoriale, con un preside dirigente e finanziatori privati, perché secondo Renzi lo Stato non ha più soldi per garantire l’esistenza della scuola pubblica. Addirittura si parla del 5×1000 per recuperare fondi quando sappiamo bene che questo causerà una grave diversificazione tra istituti e tra studenti, con i soldi che andranno alle scuole dei ricchi, e gli iscritti selezionati per ceto. Ma il governo del Pd cosa fa? Invece di ritirare questo decreto mette in atto una vergognosa prova di forza per costringerne l’approvazione, cassando di netto 2000 emendamenti presentati dalle opposizioni e riducendo i tempi di discussione, nonostante le piazze siano piene di genitori, insegnanti, studenti e cittadini che hanno a cuore il futuro della scuola”.

Ma a far saltare sulla sedia i comitati c’è anche il tema dei finanziamenti agli istituti privati. “Abbiamo una scuola che cade a pezzi, la nostra scuola pubblica, eppure lo Stato insiste a voler sovvenzionare questi istituti a spese dei contribuenti”. Senza dimenticare, ed è un’altra delle ragioni per cui i comitati bolognesi promettono “un mese di battaglie senza quartiere”, in concomitanza con il passaggio del ddl dalla Camera al Senato, “che dietro alla promessa di nuove assunzioni, uno step giusto e doveroso, a dirlo non è Renzi, ma è la Corte di giustizia europea, è che si sta precarizzando il futuro di tutti – precisa Moretto – Il premier dice che vuole fare la rivoluzione, ma torneremo a prima della Costituzione, al modello ottocentesco del più forte che comanda, sia l’imprenditore, il primo ministro o il dirigente, e tutti gli altri sono schiavi, precari, per di più, a vita”. Il docente, assunto per tre anni e poi chissà, i presidi, su cui grava il controllo del ministero, con la minaccia implicita di venire demansionati, ma anche gli studenti. “Vedranno i loro professori precari, e sapranno già in quel momento che cosa li aspetta. Senza più la speranza di poter un giorno cambiare la loro condizione, perché di questo passo, quando saranno diplomati non ci sarà rimasto più nulla su cui contare. Né un lavoro, né i diritti. Rimarrà il neoliberismo puro che Renzi sta inseguendo, dove tutto è mercato, tutto si compra, insegnanti compresi, e tutto si vende”.

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