È cambiato il direttore del Corriere della Sera, ma non c’è d’attendersi che muti qualcosa, meno che mai per gli articoli sul risparmio o la previdenza. Il direttore di un giornale può imporsi sulla grafica, persino sulla tinta delle pareti o quisquilie simili. Ma comanda la proprietà, cosa anche logica. Fra chi controlla il giornale c’è Banca Intesa-Sanpaolo, per cui esso continuerà ad agire da ufficio stampa dell’industria parassitaria del risparmio gestito. Come capita da anni, spesso in modo subdolo, e come confermano due casi recenti.

Cominciamo con un articolo apparentemente dalla parte del consumatore. Il titolo è infatti “Fondi. In dieci anni su del 50%. Ma c’è la zavorra dei costi” che riduce quel rendimento al 35% (CorrierEconomia 20-4-2015 p. 24), riproposto modificato online. Esaminiamo alcuni frasi, in neretto online, che corrispondono a quelle del tipico venditore di fondi comuni disonesto, ma anche astuto:

  • “Non era senza spese l’investimento fai da te in bond, non lo è quello in risparmio gestito”. Per cominciare l’affermazione lascia intendere che l’investimento fai-da-te è roba del passato, da retrogradi. Ma è falsa anche nella sostanza, perché non si pagano commissioni né per Cct, i Btp Italia ecc. in sottoscrizione né per i buoni postali. Per questi ultimi neppure spese di deposito. È poi ingannevole, anche riferendosi agli acquisti di titoli già emessi. Con le banche online le commissioni sono bassissime. Ma prendiamo pure chi va allo sportello di una banca cara. Ebbene, una cosa è pagare anche lo 0,4% d’intermediazione per un’obbligazione da tenere per 10 anni. Altra cosa pagare l’1% l’anno di commissioni di gestione, ossia il 10% in dieci anni e quindi 25 volte tanto. Sarebbe come dire che un intervento chirurgico costa sia in ospedale, sia privatamente in casa di cura. Già, ma nel primo caso saranno 100-300 euro di ticket per esami e visite, nel secondo magari 12.000 euro.
  • “Si tratta di stabilire se le commissioni attuali […] si dimostreranno eque alla prova di quel lungo periodo su cui è corretto valutare i fondi”. Ritorna cioè il vecchio ritornello truffaldino dei venditori di fondi comuni: per valutarli uno dovrebbe aspettare anni (una frottola!); e così intanto continua a farsi mangiare soldi.

Le autrici dell’articolo citano il reddito fisso (bond), ma tacciono con cura che negli ultimi dieci anni chi ha fatto da sé coi Btp ha ottenuto non il 35%, bensì il 60% netto d’imposte e addirittura il 73% coi Btp a 7-10 anni.
Da mesi i fondi comuni, grazie a un’abile campagna di manipolazione dell’informazione, vendono a tutto spiano. Ma dai fondi comuni si può uscire. Per questo Intesa-Sanpaolo come le altre banche spingono verso i prodotti-trappola della previdenza integrativa. E di nuovo il Corriere della Sera fa la sua parte. Il giorno dopo pubblica infatti l’articolo “Lavoro, giovani e crescita. L’importanza dei fondi pensione” a firma Mauro Marè (21-4-2015 p. 31).
Manca qui lo spazio per smontarlo frase per frase, anche perché l’inganno nei confronti dei lettori è a monte, cioè nel non informarli che Marè è a libro paga della Mefop. Ovvero di una società finanziata (anche con soldi pubblici, ahinoi!) per promuovere la previdenza integrativa. Quindi in pieno conflitto di interessi.

Siamo nel solco della tradizione di cattivo giornalismo del Corriere della Sera, che per anni e anni ha propinato ai lettori articoli sui fondi comuni a firma di Giovanni Palladino, regolarmente tacendo che si trattava di un soggetto stipendiato da società venditrici di fondi comuni (Ios, Fideuram, Prime, Arca). Ne Il risparmio tradito ho mostrato che razza di articoli fossero. Cosa che è però facile immaginarsi, anche senza sfogliare il mio libro.

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