Fa sorridere il governatore uscente e ricandidato della Campania, il berlusconiano Stefano Caldoro, quando per irridere il patto De Luca-De Mita conia la metafora “alle vecchie bande preferiamo la ‘banda larga’”.

Vorrebbe così sottolineare gli investimenti della sua amministrazione nel settore. Sarà anche vero, ma in Regione Campania questa frase mi suona infelice. Se c’è un luogo che non ha visto i frutti di questi presunti investimenti ed è rimasto fermo all’età della pietra, quello è la sede della sala stampa del Consiglio regionale. In cinque anni Caldoro e i due presidenti del parlamentino campano, del quale mi fa piacere ricordare i nomi perché sono corresponsabili di questo sfascio, Paolo Romano e Pietro Foglia, non sono stati capaci di far arrivare uno straccio di wi fi nella sala riservata ai cronisti e dedicata a un collega dell’Ansa, Marco Suraci.

E’ il luogo dal quale i giornalisti dovrebbero riferire (e vigilare) sull’attività legislativa dei ‘fautori della banda larga’. Qui Internet è vissuto come una sorta di nemico pericoloso: da ostacolare in ogni modo. I computer fissi messi a disposizione per i giornalisti hanno un sistema operativo di una decina di anni fa. I browser sono configurati in maniera tale da bloccare l’accesso ai social network, che ormai sono uno strumento di lavoro. La rete lan è cablata con parametri che rendono impossibile l’allaccio di un portatile esterno. E se provi a inserire una tua chiavetta, perdi tempo: la sala stampa e l’aula del consiglio si trovano nel piano interrato, una sorta di bunker dove i cellulari non hanno segnale. Nel tuo parlamentino, caro Caldoro, la banda è stretta, strettissima.

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