Negli ultimi anni Parma città non ha certo brillato, tuttora non è offuscata né da nebbia né da afa, ma da un torbido che è duro a schiarire. Negli ultimi anni la mia città ha incrementato la sua popolarità specialmente per fattacci di cronaca, corruzione, malavita e altre amenità. Mai sottovalutare il fondo, specie se nasconde una cantina ancora inesplorata. In un mondo in cui il lavoro si afferma sempre più a ‘desiderio proibito ecco che anche il mondo (piccolo) del (ricco) calcio si ‘scopre’ precario. E il calciatore un lavoratore che non percepisce lo stipendio (ci consola sapere che non si parla di quei mille euro lordi al mese).

Il Parma Calcio e i suoi calciatori (non mi occuperò in questo post dei dipendenti che ruotano attorno all’azienda) sono l’ultima (ultima?) tappa di una città che fa il paio con l’Italia. Dev’essere non facile precipitare dall’olimpo di chi fa un mestiere da figurine Panini a quello di chi subisce la figuraccia di amministratori, presidenti, funzionari e non vive più del gioco del calcio ma di un lavoro incerto. E’ una discesa precipitosa che non ha ancora esaurito la sua corsa (per esempio Giovanardi potrebbe avviare un’interrogazione parlamentare sulla natura dell’erba dello stadio Tardini, pensa che sfiga). Solo pochi mesi fa il calcio cittadino festeggiava i cento anni di vita, salvo poi scoprirsi mortale con un risveglio da incubo (per chi non è avvezzo a percepire quei mille euro lordi o a essere licenziato a cinquant’anni, intendiamoci).

Eppure son convinto che questa storia possa diventare una grande storia, possa essere molto più che una partita di calcio, che questa squadra possa diventare metafora di vita e coraggio e il coraggio, Donadoni in testa, c’è. Loro malgrado questi ragazzi potrebbero scoprire, se avranno la forza, se sapranno non crollare sotto il peso di una responsabilità che non è da contratto, di essere un esempio per tutti (non certo per chi ha provocato tutto il marcio, a questi si deve solo galera), un esempio di orgoglio che riparte da una umiltà estinta da troppi anni.

A guardarla dalla tv la vita di un calciatore sembra un film, salvo somigliargli troppo e finire in tristezza come un qualunque Rocky Balboa (III) della Bassa che ritrova se stesso (e gli occhi della tigre) solo ripartendo da campetti spelacchiati, cortili di cemento, scarpe rotte eppur… Questa può diventare una storia bellissima, meglio ancora: un’occasione e riscattare di colpo la storia pessima degli ultimi anni sportivi di questo Paese. Sarà una discesa profonda e nemmeno di sicuro successo, ma laggiù potrebbe celarsi una speranza e credere che la sia… potrebbe dare coraggio a molti ragazzini che sognano di diventare campioni (e a molti adulti che hanno smesso di sognare). Buona fortuna a Roberto Donadoni e alla sua squadra, perché, malgrado tutto, uno scudetto così non è dato a tutti vincerlo.

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