Le foto delle bare, pronte da giorni, hanno fatto il giro del mondo. L’accusa per loro era di traffico di droga. Nonostante le pressioni della comunità internazionale contro Jakarta, il tanto sperato gesto di clemenza dell’ultimo minuto da parte del presidente Joko Widodo non è arrivato e il governo indonesiano li ha fucilati. Gli 8 trafficanti messi a morte sono l’indonesiano Zainal Abidin, gli australiani Andrew Chan e Myuran Sukumaran, il brasiliano Rodrigo Gularte, i nigeriani Sylvester Obiekwe Nwolise, Raheem Agbaje Salami e Okwudili Oyatanze, e il ghanese Martin Anderson.

La nona persona condannata a morte, la filippina Mary Jane Fiesta Veloso, non è stata graziata come riferito in un primo momento: il procuratore generale Muhammad Prasetyo ha dichiarato che è stata solo rinviata la sua condanna a morte. Il magistrato ha spiegato che la fucilazione è slittata perché il presunto boss per il quale la donna avrebbe lavorato è stato arrestato nelle Filippine. In un primo momento invece era stata diffusa la notizia che la detenuta fosse stata scagionata da una donna che si era consegnata alla polizia confessando di averla assoldata come corriere e di essere quindi lei colpevole di traffico di droga. Il francese Serge Atlaoui, per il quale si è mobilitato presidente Francois Hollande, è in attesa del verdetto della Corte Suprema sul ricorso presentato.

I nove avevano ricevuto lo scorso weekend la notifica delle 72 ore dalla fucilazione. L’indicazione dell’orario preciso per l’appuntamento col plotone di esecuzione di 12 componenti è stata data delle autorità solo all’ultimo momento, “per evitare proteste” al porto di fronte all’isola-penitenziario di Nusakambangan. Dato anche il peso diplomatico della vicina Australia, che con l’Indonesia intrattiene abitualmente relazioni amichevoli e cooperative, i casi che hanno fatto più rumore sono quelli di Andrew Chan e Myuran Sukumaran, i due leader della gang dei “nove di Bali” arrestati da giovanissimi nel 2005 all’aeroporto della meta turistica (meta classica dei giovani australiani) con otto chili di eroina. In patria, per salvarli si erano mobilitate anche delle celebrità, rinnovando gli appelli al governo di Canberra per una missione in extremis; la ministra degli esteri Julie Bishop aveva anche minacciato “conseguenze diplomatiche” in caso di mancata grazia, iniziando dal ritiro dell’ambasciatore.

L’umanità che è emersa dalle storie dei condannati rende ancora più dolorosa l’incredulità per la sproporzione tra il reato di contrabbando di droga e la pena. Il brasiliano Rodrigo Gularte (42 anni) aveva problemi mentali. Chan (31) si era sposato ieri con la fidanzata indonesiana, e anche Sukumaran (34) era descritto come un uomo cambiato; aveva detto inoltre di voler affrontare il plotone senza essere bendato. Mentre i due australiani avevano ancora in scaletta un’ennesima udienza di appello il 12 maggio, che però non ha avuto il potere di fermare la procedura.

La prospettiva di un peggioramento delle relazioni diplomatiche non ha ammorbidito Widodo, eletto la scorsa estate paradossalmente con la fama di “buono” venuto dal basso in un’Indonesia dalle tradizioni autoritarie, che ha giustificato la sua linea dura parlando della droga come “emergenza nazionale“, citando statistiche considerate dubbie dagli esperti e intensificando presto la frequenza delle esecuzioni, riprese dal 2013 dopo una moratoria di quattro anni ma in passato ben più rare. A gennaio Widodo non ha fermato l’esecuzione di sei trafficanti, di cui cinque stranieri, complicando le relazioni in particolare con Olanda e Brasile. Ma stavolta, rischia rotture ben peggiori. E nel braccio della morte rimangono altri 64 detenuti (in gran parte stranieri) per traffico di droga, per cui il presidente ha già escluso la grazia.

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