Lo scorso 25 aprile si è svolto al Salone Margherita di Roma il concerto di Giovanni Baglioni, uno dei nostri migliori musicisti di chitarra acustica solista. Salone gremito e molto partecipe per il trentatreenne Baglioni, che al suo attivo ha un album uscito nel 2009, Anima meccanica, e una tecnica affinata nel tempo nonostante la giovane età.

Foto di Francesco Gisolfi
Foto di Francesco Gisolfi

Baglioni viene da Tommy Emmanuel, da Michael Hedges, e ha approfondito la tecnica e lo studio con Pino Forastiere, ma tutto questo riesce a declinarlo con uno stile personale, padroneggiando perfettamente la spola tra fruibilità e virtuosismi che le tecniche chitarristiche gli mettono a disposizione. La scaletta prevedeva brani tratti dal disco del 2009 e altri inediti, inframmezzati da tributi proprio a Michael Hedges, Tommy Emmanuel e Preston Reed. La cifra riconoscibile di Baglioni sta probabilmente nella spettacolarizzazione dei brani, e nel perfetto controllo di un dialogo con l’ascoltatore durante gli stessi, che non diventa mai didascalico.

Molto importante è l’introduzione parlata – anche per esigenza d’accordatura, ovviamente –, perché ciò che Baglioni vuole fare è raccontare vere e proprie storie, quasi ‘da cantautore’: in questo senso le parole d’introduzione dicono il giusto, e si rapportano in modo dialettico con le varie sessioni dei pezzi, sia quelle più melodiche, più piane, sia quelle più audaci e ‘contorte’ del dettato musicale. Spesso questi elementi dialogano anche con dei riff ben concepiti, che determinano la struttura dei brani e li ammantano di temperamento rock.

Baglioni dal palco sembra in questo modo controllare alla perfezione ciò che il pubblico ascolta e capisce, ciò che solamente percepisce e ciò che transita da inconscio a inconscio. Ma le parole iniziali funzionano anche ‘in assenza’, anche quando l’introduzione è rappresentata dal solo indizio del titolo, e l’ascoltatore si serve della poetica dell’autore, da cui è stato istruito nei brani precedenti.

Con questi presupposti, il concerto scorre in maniera molto godibile. A Roma, dopo il primo tributo, si è partiti dal brano Sirena, inanellando poi pezzi molto vari e assortiti, su cui spiccano Bloody finger, la dolce e suggestiva Quando cade una stella e la più energica Get up!.

Un elemento decisivo nello stile del chitarrista romano è la teatralità, l’aspetto visivo, determinante per esempio in un brano come Anima Meccanica, che qui si può ascoltare nella versione del disco, ma che andrebbe vista in una esibizione dal vivo (c’è all’occorrenza qualche sporadico video su Youtube).

Baglioni sa che tra le varie tecniche possibili sulla chitarra, ce ne sono alcune che visivamente – e ovviamente come sonorità – donano un impatto particolare già di per sé: per esempio le percussioni sulla cassa armonica, tapping e bending spostano l’impatto su un piano virtuosistico diverso. Così dosa perfettamente questi momenti all’interno dei vari brani, sa gestire l’inaspettato e l’inusuale come in poesia un bravo poeta gestisce una parola desueta, per farla deflagrare al momento giusto e con tutta la sua potenza espressiva. Il tutto, comunque, assieme alla consuetudine di arpeggi e pennate, forma un insieme di segni che si fanno grammatica, si fanno stile. Si fanno linguaggio personale.

Insomma, un aspetto decisivo della musica di Giovanni Baglioni va ricercato nella felice arte di concepire i brani e l’intero spettacolo non solo nella raffinatezza virtuosistica, ma anche in una fruibilità popular orizzontale di grande impatto. Nell’unione, cioè, delle capacità tecniche con un’empatia comunicativa: un cantautore senza voce, munito di sola chitarra acustica che si fa linguaggio, si fa racconto e crea una vera e propria poetica.

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