Come dopo ogni tragedia del mare e questa volta con virulenza ahimè proporzionale al numero di vittime, si scatenano polemiche di più o meno bassa Lega. Da un lato si accusa la sinistra di buonismo ed eccessiva tolleranza nel confronto degli stranieri, dall’altro si accusa di razzismo e sciacallaggio chi sfrutta i morti per acquisire consenso. La cultura della sicurezza contro la cultura dell’accoglienza. Ha ragione il collega Antonello Ciccozzi a parlare di schizofrenia e di atteggiamenti sguaiati, isterici e mai ponderati della nostra classe politica. Così come condivido in pieno il fatto che in fondo creare un bacino di irregolari, fragili e ricattabili sia funzionale al sistema economico capitalista.

Premesso che se mi è dato di scegliere preferisco essere “buonista” (anche se non mi piace l’aggettivo) che “finalmente cattivo” come titolava Il Giornale qualche anno fa proprio in occasione dei respingimenti dei barconi, ciò che però non condivido del tutto è l’idea che bisogna essere realisti e pertanto pensare che non possiamo accogliere tutti, ma solo un certo numero di persone sulla base della sostenibilità territoriale.

Innanzitutto perché i numeri degli arrivi può sembrare enorme se pensato su base nazionale, ma se spalmato sull’intero continente o almeno sull’Unione europea può risultare tollerabile. Questo comporterebbe qualche rinuncia da parte di noi europei? Bene dobbiamo renderci conto che non siamo davanti a un evento occasionale: siamo davanti alla Storia con la Esse maiuscola e questa non è più una migrazione, ma una fuga di massa, un esodo biblico al quale non ci si oppone con qualche leggina speciale.

Davanti a questa ondata di persone che scappa da guerre provocate da noi, vogliamo ora prenderci un minimo di responsabilità di tutte quelle politiche irragionevoli e crudeli che hanno alimentato guerre, bombardamenti, uccisioni di civili, destabilizzazione nel Medio Oriente e nel Maghreb? Oppure, alziamo le spalle, un colpo di spugna e facciamo finta che tutto questo sia accaduto per caso? Questo sul piano politico, ma c’è anche una questione morale, etica di cui una sinistra che sia tale non può non tenere conto: non bisogna accogliere perché si è buoni o buonisti, ma perché è giusto. E se questo comporta qualche sacrificio, bisogna dirlo. Si diventerà impopolari? Forse, ma si starebbe dalla parte giusta, quella di chi ha meno e soffre.

Al contrario, si vuole difendere lo status quo, un modello di vita irrazionale, sprecone, iper-competitivo e votato all’eterno consumo. Una sinistra vera dovrebbe ragionare in chiave di ridistribuzione, attenuare le disuguaglianze, non arroccarsi a difesa dei più abbienti. Questo lo faccia la destra, è il suo mestiere, che porta avanti demonizzando gli stranieri urlando che portano malattie, rubano, sporcano. E sicuramente c’è tanta gente che pur di non calpestare un pezzo di carta per terra preferisce calpestare i diritti umani. Non tutti per fortuna: qualche giorno fa a Palermo, si sono visti cittadini e ambulanti distribuire ai profughi generi di prima necessità. Spontaneamente.

Se continuiamo a pensare che da noi non debba cambiare nulla e che tutto ciò che ci accade attorno non sia affar nostro, significa che non abbiamo capito che siamo a una svolta epocale.

How many times can a man turn his head and pretend that he just doesn’t see? Cantava Bob Dylan mezzo secolo fa. Per quanto ancora fingeremo di non capire che se vogliamo salvarci e salvare il pianeta bisogna ripensare il nostro modello di vita, renderlo più sobrio affinché si creino spazi per gli altri.

Utopia? Forse, ma se non si è utopici come si può pensare di cambiare le cose, con il realismo della governance? La politica quella vera è fatta di una certa dose di utopia, altrimenti è semplice amministrazione. Sono conscio che questo, come dice giustamente Ciccozzi, non può essere fatto subito e che le risposte immediate debbano necessariamente essere efficaci a breve termine, ma se non iniziamo a pensare un po’ più in grande, non arriveremo mai a nessuna soluzione che non sia quella bellica. E neppure andando ad affondare i barconi in Libia o altrove si risolverebbe il problema. Dove starebbe la differenza? Che invece di morire in mare, quelle persone morirebbero a terra. Oppure nascerebbero inevitabilmente altri canali di fuga.

Lasciatemi concludere con questi versi di Bertolt Brecht:

E – vi preghiamo – quello che succede ogni giorno
non trovatelo naturale.
Di nulla sia detto: è naturale
in questi tempi di sanguinoso smarrimento,
ordinato disordine, pianificato arbitrio,
disumana umanità,
così che nulla valga
come cosa immutabile.

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