Sono passati molti anni ormai, e i miei genitori non ci sono più, ma ricordo molto bene come ogni volta, nei loro racconti, si avvertisse ancora l’ansia di quei giorni. Nei loro ricordi essi rivivevano sempre la paura di quegli azzardi così pericolosi, quegli istanti che avrebbero potuto segnare la loro vita, o terminarla del tutto; ma che al momento fu per loro necessario attraversare. Loro avevano quattro figli da sfamare, e uno di quei quattro ero proprio io, l’ultimo nato.

Ma già l’essere nato, per me e per il mio gemello Aurelio, nato appena mezz’ora prima di me in una fresca mattina di aprile del 1944, è stata una grazia, perché il 1944 fu un gran brutto anno per nascere a Milano. La città era sotto il controllo dei tedeschi, ma l’aviazione alleata aveva già cominciato da tempo a bombardarla. C’erano rovine dappertutto. Il podestà di Milano, Piero Parini, al fine di sgomberare le macerie che impedivano la viabilità, dispose di ammucchiarle tutte in una zona periferica a nord-ovest della città, vicino alla strada Gallaratese. E con quella immensa quantità di  macerie sorse in breve tempo una piccola montagnetta, l’unica a Milano, cui venne dato il nome di Monte Stella.

Milano in quel periodo era ridotta letteralmente alla fame, i rifornimenti scarseggiavano; così al compimento del primo anno d’età, nell’aprile del 1945, io e il mio fratellino eravamo già molto deperiti a causa della evidente carenza di vitamine nell’alimentazione. Avremmo potuto ammalarci anche seriamente, e morire, se quelle privazioni fossero durate a lungo. Però anche i miei due fratelli maggiori, Elena di sei anni e Gianpietro di cinque, soffrivano vistosamente per la carenza alimentare.

Eppure la nostra non era una famiglia povera, mio padre era un chimico diplomato e lavorava in una grande industria. Il suo discreto stipendio non poteva però bastare quando si era costretti a comprare quasi tutto alla ‘borsa nera’. Al mercato regolare non c’era più niente, bisognava arrangiarsi! Mancava persino il sale! Che però mio padre, da buon chimico, sapeva farsi da solo; rischiando tuttavia moltissimo perché il sale era un monopolio di Stato e farlo in proprio era un reato grave, che come tutti i reati gravi (o presunti tali) veniva giudicato immediatamente  sul posto, e punito anche con la fucilazione.

La gente era quasi alla disperazione. La libertà era un sogno che non poteva nemmeno essere espresso ad alta voce. Tuttavia, l’esercito tedesco, che dominava ancora tutto il nord Italia, nel 1945 era già ovunque sulla difensiva e non riusciva più a controllare rigidamente il territorio, trovandosi anzi sempre più frequentemente ad affrontare i partigiani, che ormai non se ne stavano più confinati sulle montagne.

Il compito dei partigiani in quel periodo era quello di rompere i collegamenti, creare disturbo, rendere in ogni modo difficile il controllo del territorio da parte dei tedeschi. Così facendo aiutavano come potevano le truppe degli alleati americani, inglesi, australiani, canadesi, che in Italia avanzavano faticosamente verso nord in una guerra sanguinosissima da una parte e dall’altra, e che sembrava non finire mai.

Era il 9 luglio del 1943 quando le forze alleate, dopo aver sconfitto i tedeschi e gli italiani in Africa, iniziarono l’invasione della Sicilia con l’operazione Husky che riuniva la 7ª Armata Usa al comando del generale Patton, e l’8ª Armata britannica al comando del generale Montgomery.

Poco dopo, il 25 luglio del 1943Vittorio Emanuele III, re d’Italia, costrinse Mussolini, sfiduciato dal suo Gran Consiglio Fascista, a dare le dimissioni, nominando in sua vece il Maresciallo Badoglio e facendo arrestare subito dopo lo stesso Mussolini, che già pensava a come riprendere immediatamente il potere. Mussolini fu così trasportato a Campo Imperatore sul Gran Sasso e lì tenuto prigioniero e isolato. La sostituzione di Mussolini non servì però a migliorare la situazione dell’Italia in guerra, così il re, resosi conto dell’insostenibile situazione raggiunta, il giorno 3 settembre prese segretamente un accordo con gli alleati per siglare l’armistizio,  che poi venne ufficializzato con la firma di Badoglio l’8 settembre 1943.

Ma i tedeschi non ammettevano mezze misure: per loro tutti quelli che non erano amici erano nemici. L’Italia meridionale era ormai quasi interamente passata sotto il controllo delle truppe alleate anglo-americane,  e con un esercito italiano ormai completamente allo sbando per la mancanza di precisi ordini su cosa fare, essi ebbero ben presto ragione di ogni resistenza e assunsero il completo controllo militare del territorio italiano fino alla linea di difesa Gustav a sud di Roma.

Tuttavia il 12 settembre 1943 Mussolini venne liberato con un colpo di mano da un reparto di paracadutisti tedeschi e portato a Monaco di Baviera, dove ricevette subito da Hitler l’invito a ricostituire in Italia un governo fascista. Il 18 settembre, da Radio Monaco, Mussolini annunciò la nascita della nuova Repubblica Sociale Fascista che in seguito venne stabilita a Salò (sul lago di Garda). Nel frattempo il re, non sentendosi più al sicuro nella Capitale, in un territorio ormai controllato dai tedeschi (che lo consideravano traditore), lasciò Roma il 9 settembre per rifugiarsi con la famiglia e i suoi dignitari a Brindisi già sotto controllo degli alleati.

Anche se l’esercito tedesco aveva in quel periodo già subito le prime pesanti sconfitte (Stalingrado, Tunisi), tuttavia era ancora molto bene armato, equipaggiato, organizzato e determinato. La delirante propaganda che Hitler faceva circolare, e che prometteva, anche dopo le più disastrose sconfitte, l’immediato riscatto, teneva alto il morale delle truppe. E comunque il Fuhrer non ammetteva debolezze, la fucilazione immediata per tradimento era la sua normale risposta a chiunque gli si opponesse.

Fu così che i tedeschi riuscirono a porre una lunga e tenacissima resistenza all’avanzata degli alleati sulla linea Gustav, all’altezza di Montecassino (a sud di Roma). Gli alleati riuscirono a superare quella guarnitissima linea difensiva solo il 22 gennaio 1944 mediante una manovra a tenaglia effettuata grazie allo sbarco di truppe ad Anzio (Roma) e ad un terrificante bombardamento a tappeto sull’Abbazia e la città di Montecassino, che vennero completamente rase al suolo.

Con la caduta della linea Gustav la strada per Roma fu aperta e gli alleati raggiunsero la Capitale il 4 giugno 1944. Purtroppo in ritardo ad evitare il terribile massacro delle Fosse Ardeatine, avvenuto il 24 marzo come rappresaglia ad un attentato operato dai partigiani a danno delle truppe tedesche in Roma. Le vittime dell’eccidio furono 335, tutti civili innocenti, ma per i fedelissimi di Hitler il vero problema non fu il se o il come ucciderli, fu il dove seppellirli. Infatti scelsero quelle grotte naturali alla periferia di Roma perchè apparvero loro come una provvidenziale fossa comune per quei poveri disgraziati.

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