Nanni Moretti ha soltanto sei anni più di me. Ma ha marcato momenti importanti della mia vita come se la differenza di età fosse molto più larga: ho baciato per la prima volta la mia prima ragazza appena uscito dal Filmstudio dopo aver visto Io sono un autarchico, ho fatto la maturità sull’onda di Ecce Bombo, trascorrevo le mie serate a piazza Navona a sognare i nostri film che non avremmo fatto mai con i miei amici quando Nanni vinceva a Venezia con Sogni d’oro, ero allievo al Centro Sperimentale di Cinematografia quando uscì Bianca che commentammo rapiti con il nostro maestro Gianni Amelio, e così via.

Per anni ho evitato di conoscerlo, perché chi ti segna come Moretti ha segnato (cinematograficamente e non solo) me e gran parte della mia generazione è meglio non conoscerlo. Cedetti per una partita di calcio, la sua squadra contro la mia, arrivando quasi a litigare per chi dovesse schierare Matteo Garrone, che allora giocava con tutte e due le nostre squadre. Da allora l’ho incontrato poche volte, ma quelle poche volte sono state sempre importanti per me.

Quando esce un suo film di solito lo vado a vedere il primo giorno, scegliendo il cinema e l’orario più lontano possibile da occhi indiscreti. Mia madre l’ho visto al cinema Maestoso di Roma al primo spettacolo. Ho fatto bene: non ho incontrato nessuno di quelli che si sentono ‘qualcuno’ perché lavorano nel cinema, che più passa il tempo meno sopporto. Non mi compete né in questa sede né altrove parlare criticamente dei film. Non credo che ne sarei comunque capace. Ma due o tre cose su Mia madre le voglio dire.

Mi è entrato dentro, mi ha inchiodato alla poltrona, mi ha fatto ridere, mi ha fatto commuovere, mi ha trasmesso amarezza ma anche speranza, mi ha spiazzato in continuazione. E’ un film sull’essere figli e sull’essere genitori. Uno dei più grandi momenti del film, ma secondo me addirittura di tutto il cinema di Moretti, è la sequenza del padre e della madre che insegnano alla figlia ad andare in motorino. E’ un film sul cinema, sulla finzione, sulla realtà che è a volte vera e a volte finta. Come quel ballo tra l’attore interpretato da Turturro e l’attrice signora della troupe il giorno del compleanno di Turturro che in quel momento sembra smettere di recitare, sembra ‘mettersi al lato del personaggio’.

E’ un film sul valore dell’insegnamento fatto di nozioni ma soprattutto anche di gesti, di sguardi, di carezze, di linee da seguire, di rotte da invertire, di trasgressioni. “Non ti fermare al primo significato di un verbo che trovi sul vocabolario”. E’ un film sulla solitudine, sulla paura della solitudine, sulla fierezza della solitudine, sulla debolezza della solitudine, sull’incertezza della solitudine. E’ un film sullo smarrimento odierno degli intellettuali. E’ un film sul futuro. Nell’ultima sequenza la madre è ormai morta. Ma Margherita rivede la mamma viva. Ci parla.

“Mamma, a cosa stai pensando?”

“A domani”

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