“Terremoto” mediatico nel gruppo Volkswagen, dove il potente presidente del Consiglio di sorveglianza del Gruppo, Ferdinand Piech, 78 anni tra qualche giorno, ha liquidato a mezzo stampa l’amministratore delegato del colosso tedesco, con una sintetica frase riportata da Spiegel: “Ho preso le distanze da Winterkorn”. In Germania, anche se Piech è austriaco e si è laureato in Svizzera, le sue parole pesano come pietre. La “traduzione” in lingua corrente sembra chiara: alla scadenza del contratto, nel 2016, non solo Martin Winterkorn non resterà alla guida del gruppo Volkswagen, ma non prenderà nemmeno il mio posto alla guida del Consiglio di sorveglianza (nel 2017). Del resto, ci sono precedenti importanti: Piech ha già “silurato” i suoi amministratori delegati altre volte: nel 200o quello di Volkswagen, Bernd Pischetsrieder, e nel 2009 quello della Porsche, Wendelin Wiedeking.

Ma la Germania del 2015 sembra non essere più quella cui era abituato Piech, che giusto 3 anni fa era riuscito a piazzare la moglie Ursula (con lui nella foto sotto) nello stesso consiglio di sorveglianza che egli presiede, infischiandosene delle accuse di “nepotisimo” e delle lamentale di una parte degli azionisti. A stretto giro di organo di informazione (Frankfurter Allgemeine Zeitung) si è fatto sentire lo stesso Winterkorn che ha dichiarato di non essere disposto a farsi scacciare. Se Piech ha preso le distanze da quello che aveva scelto come “delfino” – nel 1981 fu proprio lui a chiamare Winterkorn in Audi – hanno preso le distanze dal patriarca sia la famiglia, sia il rappresentante dei lavori, sia il Land della Bassa Sassonia, azionista con diritto di veto della società.

Piech con la moglie Ursula

Un apparentemente stizzito Wolfgang Porsche ha fatto sapere che quella di Piech è un’opinione personale non concordata con la famiglia: le dinastia Piech e Porsche controllano il 51% del capitale attraverso due holding. Bernd Osterloh, capo dei consigli di fabbrica del gruppo e portavoce dei lavoratori nel Consiglio di sorveglianza, non è stato meno accomodante. Dipendesse da lui il contratto di Winterkorn verrebbe prolungato. E il primo ministro della Bassa Sassonia, il socialdemocratico Stephan Weil, ha detto di essere “spiacevolmente sorpreso” dalla dichiarazioni attribuite a Piech. Con Winterkorn al comando, il gruppo ha praticamente raddoppiato i volumi (da quasi 110 a circa 202 miliardi), superando per la prima volta nel 2014 i 10 milioni di veicoli commercializzati ed arrivando ad occupare quasi 600.000 addetti a livello planetario dove sono distribuiti quasi 120 impianti produttivi.

Per il sistema imprenditoriale tedesco e per Volkswagen in particolare è decisamente insolito lavare i proverbiali panni sporchi fuori dalla famiglia. Le prime avvisaglie della tempesta mediatica sono vecchie di mesi. E riguardano il siluramento “illustre” di Michael Macht, capo della produzione di Volkswagen, chiamato probabilmente a pagare per tutti le inefficienze del marchio che vende di più ma contabilizza margini ridotti. Poi ci sono le “riflessioni” sul mercato del Nord America, dove VW ha perso quote, e per il quale diversi manager hanno espresso opinioni contrastanti, e quelle sul piano di risparmi. Mentre Audi e Porsche aumentano utili e redditività, le performance del marchio Volkswagen vanno in direzione opposta, alimentando malumori non nascosti alla stampa.

Da BMW Group viene pescato il nuovo numero uno del brand, Herbert Diess, che prenderà il posto proprio di Winterkorn, che rimarrà “solo” a capo del gruppo. Almeno fino alla scadenza del contratto. Il prossimo 5 maggio è in programma l’assemblea degli azionisti e i due convitati di pietra – Piech e Winterkorn – dovranno sedere l’uno accanto all’altro. Potrebbe non essere una giornata serena per entrambi e quasi certamente i prossimi mesi non saranno facili per il gruppo scosso dalla contesa per la successione. Ma il “condannato” dalla dichiarazioni di Piech sembra disporre di un buon numero di difensori, tanto che sul banco degli imputati rischia di finire il patriarca. In Germania è in corso un cambio generazionale ai vertici delle case automobilistiche. E quella di Volkswagen è la “madre di tutte le dispute”, a meno che non finisca per rivelarsi l’ultimo disperato tentativo di influente e ricchissimo ma anziano ingegnere di continuare a imporre le proprie regole spianando la strada ad una nuova generazione di manager e azionisti.

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