Moon Studios non esiste, o meglio, non lo troverete su Google Maps o sull’elenco telefonico: niente uffici, niente portinerie, niente open space con computer, cavi e devkit.

I creatori di Ori and The Blind Forest sono un collettivo che esiste solo online, e che ha lavorato per quattro anni senza incontrarsi quasi mai, almeno finché Microsoft non ha deciso di investire e comprare a tutti un bel biglietto intercontinentale. Il gioco, dunque, nasce in quel sottobosco della rete che, negli ultimi anni, ci ha regalato alcune delle migliori esperienze ludiche recenti, da Hotline Miami a Gone Home, passando per Broforce. Rispetto a Ubisoft, che ha professionalizzato questo approccio con UbiArt, Microsoft ha preferito lavorare in maniera diversa, lasciando enorme libertà al team di sviluppo che, pur con qualche ritardo, è riuscito a creare un gioco di straordinaria qualità.

Ori and the Blind Forest affonda le sue radici in Metroid e Castlevania, ispirandosi alla grande tradizione dei platform non sequenziali. Pur senza offrire un mondo di gioco incredibilmente ampio o complesso, Moon Studios ha costruito un’esperienza ludica capace di appagare sia i giocatori più esperti che i neofiti, rimanendo elegantemente in bilico fra impegno e una curva d’apprendimento tutto sommato morbida. Ori and the Blind Forest non è un gioco facile: dobbiamo esplorare un mondo tutto fuorché amichevole, dotato di una geografia complessa e, soprattutto, con sezioni platform che non offendono l’intelligenza dei giocatori. Ormai accade sempre meno spesso: i designer temono di irritare il pubblico e, per questo motivo, inseriscono nei loro giochi una serie di trucchi che evitano ai giocatori le sconfitte più brucianti. Ori segue le orme di Rayman e di Super Mario: niente salti guidati, niente seconde chance, niente di niente. Nel gioco di Moon Studios si muore, tante volte.

Per stemperare le cose gli sviluppatori hanno deciso di ricorrere al sistema delle vite infinite, intrecciandolo però con una gestione dei save point abbastanza innovativa: i quicksave, infatti non sono automatici e, per poterne usufruire dovremo consumare una piccola parte di energia. Peccato però che questa sarà la stessa necessaria per caricare i colpi più potenti e, dunque, ci troveremo spesso a dover scegliere fra un comodo salvagente, magari prima di una sequenza di salti e burroni particolarmente insidiosa, e la possibilità di sferrare attacchi di una certa portata ai nemici più coriacei. Abusando dei quicksave avremo vita durissima con i boss di fine livello, mentre mettendone troppo pochi saremo costretti a ripetere più e più volte gli stessi salti e le stesse acrobazie: questo meccanismo costringe il giocatore a riflettere prima di ogni mossa e rappresenta un’interessante evoluzione del classico sistema a checkpoint.

Sul fronte del design, Ori and the Blind Forest non fa mistero di tutte le sue ispirazioni, c’è molto Miyazaki nelle ambientazioni arboree del titolo di Moon Studios ma si intravedono anche i tratti dei classici Disney anni ‘90, così come il gusto per i particolari e i cambi di prospettiva di Rayman Origins e Rayman Legends. Ori and the Blind Forest è, con tutta probabilità, il platform con la migliore direzione artistica da qualche anno a questa parte ma, a tratti, l’estro degli animatori ha avuto la meglio sulla giocabilità e, purtroppo, in alcune sezioni risulta molto difficile distinguere il nostro protagonista dallo sfondo e dai nemici. Si tratta di situazioni molto limitate, non più di un paio, ma che avrebbero potuto essere risolte con maggiore accuratezza.

Ori and The Blind Forest è quindi una scommessa vinta. Microsoft ha colto l’opportunità di far crescere un team dotato di enorme talento ed il risultato ha superato ogni aspettativa; forse un’avventura leggermente più lunga avrebbe reso il gioco perfetto, tuttavia Moon Studios ha preparato il terreno per un futuro più che brillante.

A cura di Nicolò Carboni

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