Manifestazione per i palestinesi che vivono rinchiusi nel campo di Yarmouk in Siria.Da quando, il 1° aprile, con la collaborazione dei qaedisti del Fronte al Nusra, lo Stato islamico è entrato a Yarmouk, il più grande campo per rifugiati palestinesi della Siria dove hanno trovato riparo anche molte migliaia di cittadini siriani, la sofferenza dei civili ha raggiunto nuovi, inimmaginabili livelli.

Non era bastato l’assedio imposto nel luglio 2013 da parte delle forze governative e la conseguente crisi umanitaria che aveva causato la morte, in nove mesi, di quasi 200 persone per denutrizione e assenza di cure mediche.

Ora, i 18.000 civili (tra cui 3500 bambini) rimasti a Yarmouk possono “scegliere”, oltre alla fame e alle malattie, se morire abbattuti dai colpi di un cecchino, schiacciati dalle macerie della loro casa colpita da un barile bomba o come vittime casuali di uno scontro a fuoco tra i gruppi armati presenti nel campo.

Lasciando da parte le centinaia o migliaia di combattenti dei vari schieramenti morti negli scontri, dal 1° aprile a Yarmouk sono stati uccisi almeno 18 civili. Altri due sono morti di fame.

La 12enne Zeinab Daghestani è stata uccisa da un cecchino il 7 aprile mentre cercava di spostarsi verso la zona meridionale di Yarmouk, all’epoca più tranquilla. Tra gli altri civili uccisi c’è Majed al-Omari, operatore umanitario della Fondazione Jafra, un’organizzazione di soccorso, ucciso dal fuoco incrociato il 3 aprile. Jamal Khalefe, 27 anni, media-attivista, è stato ucciso lo stesso giorno durante un pesante bombardamento. Un altro giovane rifugiato palestinese, Hussein Taha, è stato ucciso il 6 aprile quando la sua abitazione è stata centrata da un barile bomba.

Altre migliaia di civili rischiano di fare la stessa fine poiché, in risposta all’occupazione del campo da parte dello Stato islamico, le forze governative siriane hanno intensificato i cannoneggiamenti e gli attacchi aerei, ricorrendo anche ai micidiali barili bomba. Gli abitanti di Yarmouk hanno riferito ad Amnesty International che nell’ultima settimana sono stati sganciati circa 25 barili bomba, per lo più di notte.

Le zone intorno a via Palestina, via Mansoureh e del cimitero dei martiri, ancora prevalentemente abitate da civili sebbene alcuni combattenti dello Stato islamico vi abbiano preso posizione, sono bersaglio di attacchi governativi.

Nonostante l’escalation dei combattimenti, sia le forze siriane che lo Stato islamico impediscono l’accesso agli aiuti medici e umanitari, privando così decine di feriti delle cure mediche e dell’assistenza necessarie per salvare le loro vite. Una delle due strutture mediche ancora funzionanti a Yarmouk, l’Ospedale Palestina, è stato colpito il 1° aprile da un missile che ha ferito sei volontari.

“Le principali ferite sono causate dalle bombe e dai cecchini. Le peggiori patologie riguardano il cuore e i polmoni, cui vanno aggiunte la diarrea e le infezioni, il tutto acuito dalla malnutrizione. C’è grave scarsità di medicine e di attrezzature mediche, abbiamo bisogno urgente di liquidi per la reidratazione, sacche di sangue e antibiotici” – ha riferito un operatore sanitario ad Amnesty International.

A Yarmouk non vi sono più organizzazioni di soccorso. La popolazione è in buona parte senza acqua, senza cibo e senza medicinali. Sarebbe fondamentale che le agenzie umanitarie indipendenti potessero entrare immediatamente e senza essere ostacolate per cercare di alleviare una sofferenza senza fine e aiutare coloro che vogliono lasciare il campo a raggiungere zone più sicure. Ma chi controlla il campo, da terra e dal cielo, non è d’accordo.

Dopo quattro anni di conflitto e scelte ciniche da parte dei protagonisti e dei loro alleati, finanziatori e armatori, l’impotenza della comunità internazionale rischia con Yarmouk di raggiungere nuovi picchi di vergogna.

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