Il primo passo è avvenuto, dopo 24 anni: la commissione Lavori Pubblici del Senato ha dato il primo via libera, all’unanimità, per l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince, avvenuta nel porto di Livorno la sera del 10 aprile 1991 quando il traghetto si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo (si contarono 140 morti). Il testo approderà ora in Aula per il voto finale. “L’elaborazione è stata contraddistinta dalla massima condivisione – dice a ilfattoquotidiano.it il relatore Marco Filippi (Pd) – Riprova è il fatto che nessun gruppo parlamentare ha presentato emendamenti al testo ed è stato approvato all’unanimità. Abbiamo mantenuto il rigore essenziale su tempi certi e quesiti presentateci dai familiari delle vittime, che speriamo di poter finalmente assecondare nella loro legittima richiesta di verità”. Domani, 10 aprile, giorno del 24esimo anniversario della sciagura di Livorno, Filippi sarà nella città toscana con gli altri promotori dell’iniziativa parlamentare – Sara Paglini (M5S) e Alessia Petraglia (Sel) – per partecipare alla giornata di commemorazione del disastro, in un confronto con i familiari delle vittime che sa di storia. Infatti mai prima si era giunti così vicini alla presa in carico da parte del Parlamento di fare piena luce su questa vicenda ad oggi impunita e dai tristi primati: è la più grave tragedia della marina civile italiana dal 1945 ad oggi ed è la più grande strage sul lavoro della storia repubblicana.

La commissione d’inchiesta sarà monocamerale e sarà istituita al Senato, salvo colpi di scena, come la soluzione bicamerale invocata dal figlio del comandante del Moby Luchino Chessa nella sua ultima lettera aperta al presidente del Consiglio Matteo Renzi. I commissari avranno il difficile compito di fare chiarezza sui punti indicati nel testo con un termine di 2 anni di indagini e 60mila euro di budget per le consulenze esterne.

La sopravvivenza a bordo
Tra gli aspetti principali da chiarire il “riesame della documentazione medico legale” per “chiarire i tempi di sopravvivenza minimi e massimi delle vittime” del traghetto, argomento cardine non affrontato dalla Procura di Livorno nell’inchiesta-bis del 2006 (terminata con un’archiviazione), che potrebbe riaprire il caso anche in sede di procedimento civile. Ad oggi infatti la ricostruzione promossa dalla magistratura italiana avvalora la tesi – avanzata dalla prima inchiesta penale degli anni Novanta – della morte rapida di tutte le 140 vittime in massimo 30 minuti, negando legittimità persino a quei dati tossicologici accertati sui corpi recuperati che indicavano l’eterogeneità della sopravvivenza a bordo, in alcuni casi pari ad “alcune ore”. La “morte rapida” è la base della mancata responsabilizzare del tardivo coordinamento dei soccorsi di quella sera, oltre alla disabilitazione dei sistemi automatici anti-incendio del Moby Prince oltre all’omessa segnalazione di quale fosse la nave investitrice da parte del comandante della petroliera Renato Superina e del suo marconista.

La dinamica della collisione e la nebbia
La commissione d’inchiesta dovrà poi cercare di determinare una “verità storica” sulle “cause della collisione” tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo, quindi posizione e orientamento della prua di quest’ultima, rotta del Moby Prince, condizioni di armamento ed eventi precedenti la collisione con ruolo in essa. Il Parlamento legittima così i dubbi dei familiari delle vittime sulla ricostruzione della magistratura nelle due inchieste passate, per la quale si descrive il Moby Prince lanciato su una rotta radente alle navi in rada, che, sorpreso dalla nebbia, centra un’incolpevole petroliera, ferma fuori dalla zona di divieto di ancoraggio e pesca. Per raccontare la vera storia di quella notte i commissari potranno avvalersi della documentazione complessiva sulla vicenda – comprese foto, audio e filmati realizzati dai consulenti di parte civile e non considerato nell’ultima inchiesta perché assente dall’archivio del tribunale di Livorno – oltre a poter richiedere altro materiale alle autorità civili e militari, sia italiane che straniere. Appare quindi certo l’approfondimento di quanto evidenziato dallo Studio Bardazza Adinolfi (cui si sono affidati i parenti delle vittime), in primis l’esatta collocazione della petroliera nella rada di Livorno e i dubbi sul suo carico trasportato, così come l’analisi dell’ipotesi dei consulenti della Procura di Livorno Rosati e Borsa – mai approfondita dai pm – secondo i quali quella che fu percepita come “nebbia” poteva essere vapore prodotto da un’avaria all’impianto caldaie della petroliera.

Le motivazioni del mancato soccorso
E ancora i soccorsi e le eventuali responsabilità dell’allora comandante della Capitaneria di porto Sergio Albanese, che mai assunse il coordinamento delle operazioni nonostante fosse presente nell’area del disastro mezz’ora dopo la collisione. Sarà così chiarito se il tardivo soccorso al Moby (i vigili del fuoco vi entrarono 36 ore dopo l’impatto) fu errore casuale o frutto di una scelta che tra i due mezzi privilegiò il contenimento dell’incendio sulla petroliera.

Le responsabilità di Vincenzo Onorato
I commissari dovranno infine determinare definitivamente le eventuali responsabilità dell’armatore Vincenzo Onorato – attualmente impegnato nel rilevare interamente l’ex compagnia di navigazione pubblica Tirrenia, oggi diventata Cin – per via delle condizioni in cui fu fatto viaggiare il Moby e alle successive operazioni di occultamento e manomissione realizzate sul traghetto “sequestrato” dalla magistratura, una delle quali già accertata da tempo e riferita a due uomini della stessa Navarma, armatrice di Moby. Tra i punti più controversi, infatti, la commissione d’inchiesta dovrà stabilire se si debba riferire all’armatore o al comando nave la responsabilità della disabilitazione dei sistemi anti-incendio sprinkler e ad acqua spruzzata nel garage accertata sul traghetto.

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