“Ho visto un uomo sdraiato sulle scale. Gridava come un forsennato e si teneva con le mani la gamba destra. Mi sono chinato su di lui: perdeva sangue dal piede, il proiettile è entrato e uscito; e poi da sotto il gluteo. Ho preso uno straccio e ho cercato di tamponare le ferite“. L’avvocato Salvatore Maraniello non si è ancora scrollato la tensione di dosso. Venti minuti prima era dentro un’aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia. E’ scappato appena ha sentito gli spari. Tre, forse quattro. Non ricorda. Sono da poco passate le 11: Claudio Giardiello ha appena concluso il suo tiro al bersaglio nell’aula del terzo piano dove si tiene il processo sul fallimento dell’Immobiliare Magenta, di cui era socio di maggioranza. Tredici colpi 7,65 per vendicarsi “di chi lo ha rovinato”. Tre cadaveri: il giudice fallimentare Fernando Ciampi, l’avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani, teste nel processo e Giorgio Erba, suo coimputato. Altre due persone ferite.

Tutto intorno è il caos. Pattuglie di carabinieri, polizia e polizia locale chiudono la zona intorno al Palazzo. Le ambulanze e le auto mediche inchiodano in Corso di Porta Vittoria. “Il killer è sempre dentro. Al settimo piano. No, nei sotterranei”, nessuno capisce cosa sia andato in scena o cosa possa ancora accadere: il buco nero dura un’ora e mezzo, fino all’arresto di Giardiello. Dall’entrata principale le persone escono a singhiozzo. Una donna si copre il volto con le mani. Un’amica le va incontro e l’abbraccia: “Ho visto un uomo a terra, in una pozza di sangue. Non so chi fosse. E’ assurdo, come è possibile che si spari in un tribunale?”. Piange. Altri sono ancora dentro. Rintanate e nascoste. Senza nessuna informazione. I loro racconti sono fotogrammi di un piano sequenza surreale. I loro ricordi si succedono a rallentatore ora che è tutto finito. “Pensavo fosse una rissa in strada – racconta a ilfattoquotidiano.it l’avvocato Manila Filella – Quindi sono rimasta nel Palazzo. Poi ho capito cosa stava succedendo, sono salita in cancelleria, tutti continuavano a lavorare come se nulla fosse. Quando abbiamo realizzato, ci siamo barricati in un’aula del quarto piano. Eravamo in cinque. Abbiamo silenziato i telefoni, spento i computer e bloccato la porta con la scrivania. Abbiamo chiamato la polizia, inutilmente. E nel frattempo qualcuno ha bussato, probabilmente era proprio il killer, perché quando non è riuscito a entrare se ne è andato. Solo dopo un’ora due agenti in borghese si sono qualificati e ci hanno fatto uscire. Non c’è stato nessun coordinamento per l’evacuazione, nessun piano sicurezza”.

Scene identiche a quelle vissute dal penalista Emanuele Perego: “Ci siamo chiusi all’interno di un’aula appena abbiamo sentito i colpi. Non ci siamo mossi. Nessuno ci ha fatto sapere cosa stava succedendo. Soltanto dopo un’ora un agente della Digos ha bussato alla porta e ci ha detto che potevamo uscire. L’evacuazione? L’abbiamo gestita da soli, nessuno ha coordinato un bel niente”, racconta l’avvocato davanti all’entrata laterale di via Friguglia, da dove entra la moglie del giudice Ciampi per vedere il corpo del marito, davanti al quale rimane qualche minuto, prima di uscire piangendo. La inseguono fotografi e cameraman che sono ammassati all’esterno insieme a decine di legali, persone che questa mattina avevano un’udienza e molti magistrati. Uno di loro è fuori di sé. Chiede di rimanere anonimo perché lo sfogo in cui si lancia è pesante: “Da venti anni lavoro qui. Quello che è successo è inaccettabile. Come può una persona entrare armata in tribunale nonostante i metal dector e i controlli e compiere una mattanza del genere. Spero che cadano le teste di chi ha la responsabilità di questa negligenza”.

Già, come ha fatto Giardiello a entrare armato in uno dei luoghi più sorvegliati della città? E’ quello che si chiedono tutti fuori da Palazzo che rimane inaccessibile fino alle 14. Circolano ipotesi, che hanno tutte dell’incredibile. “Giardiello è entrato insieme all’avvocato, quindi non è passato dai varchi dei metal detector”. “Giardiello ha sfilato la pistola a un carabiniere o a una guardia carceraria”. “Uno dei metal detector ai varchi era fuori uso”. Crollano tutte. La più attendibile la avanza il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati in conferenza stampa: “Giardiello sarebbe entrato mostrando un falso tesserino dall’ingresso laterale di via Manara e dalla porta riservata all’accesso di magistrati, avvocati e cronisti”.

Ipotesi. Perché per ora le uniche certezze fornite dalle forze dell’ordine raccontano quello che Giardiello ha fatto dopo il suo ingresso. Quando l’aula del processo e l’ufficio al secondo piano del giudice Ciampi si trasformano nel suo personale poligono di tiro con sagome in carne e ossa. Poi la fuga in sella a uno scooter, a venti chilometri lontano da Milano. Direzione: Carvico, provincia di Bergamo. L’obiettivo: Massimo D’Anzuoni, suo socio di minoranza, che Giardiello vuole uccidere per chiudere definitivamente i conti. Ma i carabinieri lo fermano prima che il mosaico prenda forma. Il cortocircuito nella sua testa si arresta solo quando viene disarmato e ammanettato nel parcheggio Le Torri Bianche di Vimercate. Un’ora e mezzo dopo gli spari. Certezze che messe insieme immortalano il blackout sicurezza in uno degli edifici pubblici più sensibili di Milano. La città dove tra 22 giorni esatti inizierà Expo.

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