Scosso dalle inchieste, sotto shock per fallimenti che fino a pochi anni fa sarebbero sembrati impossibili e, in alcune zone del Paese, colpito al cuore dalla fuga dei soci. Non abbastanza controllato ed esposto a infiltrazioni pericolose. L’universo delle cooperative non sembra godere di ottima salute. Ma, oltre le contraddizioni e relazioni pericolose, resta un comparto economico di dimensioni imponenti. Secondo un’elaborazione realizzata per Il Sole 24 Ore dall’università di Bologna le tre grandi centrali Legacoop, Confcooperative e Associazione generale cooperative italiane (Agci), che riuniscono la maggior parte della cooperazione italiana, raggiungono insieme un fatturato complessivo di 153,7 miliardi di euro, vale a dire quasi il 5% del prodotto interno lordo italiano. E la quota raddoppia se si tiene conto anche dell’indotto.

Gli addetti sono 1,1 milioni, concentrati soprattutto nelle coop di produzione e in quelle edilizie (441mila lavoratori) seguite da quelle che operano nel sociale, con 359mila persone impiegate in settori che vanno dal reinserimento lavorativo di ex carcerati e tossicodipendenti alla gestione di asili nido a quella di servizi sanitari e assistenziali. Le più forti in questo comparto sono le aderenti a Confcooperative. Ma il mondo Legacoop sta cercando di recuperare terreno con esperimenti che fanno leva sulla preminenza nel campo del consumo, dove la classifica è guidata da Unicoop Firenze e Coop Adriatica,che insieme hanno un giro d’affari di oltre 4 miliardi. E’ di questi giorni la notizia che Coop Adriatica, Coop Nordest e Coop Estense, che si sono appena fuse, attraverso la società di mutuo soccorso Faremutua venderanno nei supermercati polizze assicurative e pacchetti di welfare: in pratica chi fa la spesa potrà comprare anche ore di servizio di badanti, baby sitter, infermieri.

Un ruolo di primo piano ce l’ha poi il comparto del credito, che stando ai calcoli dell’ateneo emiliano vale per le tre centrali 29,8 miliardi. Ma rappresenta anche un tasto dolente alla luce delle ultime inchieste che in Friuli hanno portato alla luce buchi da decine di milioni nel mare magnum dei circa 11 miliardi di “prestito sociale” gestito dalle coop e non tutelato dalla Banca d’Italia, visto che le cooperative non sono istituti di credito e non dovrebbero operare come tali. Non è un caso se a metà marzo la direzione nazionale di Legacoop, la centrale più grande con quasi 80 miliardi di fatturato, ha varato una bozza di autoregolamentazione del prestito da soci che tutte le cooperative aderenti dovranno adottare nei prossimi mesi. I consigli di amministrazione avranno, almeno sulla carta, obblighi informativi più stringenti sull’andamento del prestito, sul suo impiego e sullo stato economico, finanziario e patrimoniale della cooperativa. Previsti poi meccanismi di “monitoraggio” che dovrebbero servire per identificare situazioni di allarme prima che sia troppo tardi.

Le attività delle coop sono comunque molto diversificate e comprendono anche settori come l’agroalimentare, che vale 38,5 miliardi ed è dominato dalle 3.500 società che aderiscono alla Federazione nazionale delle cooperative agricole e agroalimentari (Fedagri), i beni culturali e il turismo. Ci sono infine le cooperative di abitazione, che non c’entrano con quelle edilizie: si tratta di gruppi di persone che si associano per assicurarsi l’acquisto o il possesso di una casa a prezzi più vantaggiosi di quelli di mercato. Anche qui però i guasti non mancano: l’anno scorso è fallita la coop parmense Di Vittorio, affossata da un buco di bilancio nascosto dagli ex amministratori e le 485 famiglie che vivono negli alloggi “a proprietà indivisa” hanno scoperto che erano stati ipotecati per ottenere un prestito.

Cronache giudiziarie o meno, il fatto è che a livello di performance nei primi anni della crisi le cooperative se la sono in effetti cavata meglio della media delle società per azioni: secondo l’ultimo rapporto dell’Euricse, istituto specializzato nella ricerca sul settore, tra il 2006 e il 2010 la crescita del valore aggiunto dell’insieme delle cooperative ha raggiunto il 25% contro il 7% delle spa, mentre quella dei redditi da lavoro è stata del 30% contro il 13% delle spa. Poi però l’onda d’urto dei fallimenti e degli esuberi è arrivata anche qui. Con casi emblematici come quello della bolognese Coop costruzioni, che per far fronte al calo delle commesse lascerà a casa 200 dei 400 dipendenti.

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