Dopo lo scandalo nel 2011 dei maiali tedeschi alla diossina, degli agnelli che, importati dall’Est Europa con viaggi di oltre 15 ore ammassati in 700 in un solo camion, vengono spacciati per italianissimi e del ritiro – lo scorso luglio – di tonnellate di mangimi provenienti da una partita di mais ucraina alla diossina, da aprile si sa un po’ di più sulla carne che arriva sulle tavole degli europei.

È, infatti, entrata in vigore la normativa Ue, decisa nel dicembre 2013, che impone l’indicazione obbligatoria in etichetta per tutte le carni fresche, refrigerate e congelate di maiali, capri e pecore. Prodotti che, venduti con la loro carta di identità, devono riportare il luogo di allevamento e quello di macellazione delle carni, ma non quello di nascita degli animali. Mentre, nel caso in cui gli animali siano nati, allevati e macellati nello stesso Stato membro, quel Paese potrà essere indicato come quello “di origine”.

L’obbligo per gli operatori, inoltre, si applica anche alle carni importate da Paesi extracomunitari, quando possibile. Così, se il Paese di allevamento e quello di macellazione non sono conosciuti, l’etichetta potrà riportare l’indicazione di origine “non Ue”. Una novità che va a comporre un altro tassello del puzzle sulla sicurezza alimentare dei consumatori, messa a dura prova negli ultimi 15 anni dalle troppe emergenze scatenate dall’anonimato di carni e prodotti alimentari.

L’obbligo per gli operatori di indicare in etichetta le informazioni sulla carne bovina dopo la mucca pazza risale al 2002, mentre dal 2003 bisogna indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal 2004 c’è anche il codice di identificazione per le uova e l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto. Dal 2009 va indicata, invece, l’origine delle olive impiegate nell’olio. L’Italia, poi, dal 2005 ha reso obbligatoria l’indicazione della zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco, l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy per effetto dell’influenza aviaria e dal 2008 l’etichettatura di origine per la passata di pomodoro.

Soddisfa, quindi, quest’ulteriore chiarezza sull’origine della carne di maiale, di agnello e capretto? “A metà”, dice Ivano Giacomelli, segretario nazionale Codici che spiega: “I consumatori continueranno a non sapere nulla sulla provenienza di altre carni, sempre molto presenti sulla tavola: si tratta di carne di coniglio, cavallo e salumi di maiale, di cui l’Italia ne produce la maggior parte su scala europea”.

L’obbligo di etichettatura, in particolare, continua a non riguardare la carne di cavallo oggetto del recente scandalo, i prodotti trasformati (come salumi e salsicce), le carni contenute come ingredienti di prodotti trasformati e quelle acquistate sfuse in macelleria, a meno che lo Stato membro interessato non lo imponga. “Una carenza grave che va colmata al più presto, visto che – denuncia la Coldiretti – in Italia due prosciutti su tre sono fatti da maiali stranieri, ma il consumatore lo ignora. E la situazione non è certo migliore per salami, soppressate, coppe o pancette”.

Una dimenticanza? Proprio no. Il Parlamento europeo ne aveva chiesto l’obbligo, ma la Commissione – dopo uno studio d’impatto – ha concluso che i consumatori non sarebbero stati disposti a pagare l’aumento di prezzo che questo restyling avrebbe comportato. Intanto, in attesa di capire se la politica europea estenderà l’obbligo anche alle altre carni, la Coldiretti e Confagricoltura ricordano anche che “l’etichetta resta anonima anche per i succhi di frutta, la pasta e i formaggi”. Quasi la metà di un carrello della spesa.

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