Uber vince la sua prima causa davanti al giudice di pace di Milano, che obbliga l’amministrazione pubblica a restituire a un driver della casa fornitrice dell’app tanto discussa patente e libretto che gli erano stati ritirati. La sera del 19 novembre scorso, infatti, un 65enne è stato fermato mentre con la sua auto accompagnava alcune persone. L’uomo, insomma, era un cosiddetto “Uber pop”: un autista che attraverso la app dello smartphone viene contattato da chiunque sia in possesso dell’applicazione e abbia bisogno di un passaggio.

Una pratica che secondo la Polizia Locale di Milano viola l’articolo 86 della legge 285 del 1992, presente nel Codice della strada e che punisce col ritiro della patente e la confisca del libretto dell’auto chi pratica abusivamente un “servizio da piazza” come quello del tassista, con “auto propria e sguarnita di licenza”. In realtà, sono convinti gli autisti Uber, il loro non è un servizio simile a quello dei tassisti né tanto meno un servizio pubblico. Per questo sono convinti di non commettere nessun reato e si appellano ad una sostanziale assenza di leggi contrarie in materia. Una lacuna che ha avuto il suo peso nella sentenza di oggi, anche se il giudice di pace ha riconosciuto che la contestazione dell’articolo 86 non risulta oggettivamente errata. Fatto sta che ha disposto all’amministrazione pubblica di restituire al driver milanese patente e libretto.

Il Comune di Milano, l’ente chiamato in causa, ha già stabilito che presenterà ricorso, ricordando la singolarità di questa sentenza rispetto alle 8 già pronunciate: tutte contrarie agli autisti Uber. Il 65enne protagonista, un pensionato dell’Azienda tramviaria milanese (Atm) che per arrotondare la propria mensilità aveva deciso di scaricare l’app e mettersi a disposizione di quanti in città volessero un passaggio su un’auto privata, fu bloccato dalle Frecce, il servizio della Locale di Milano che ha tra i propri compiti la repressione del trasporto pubblico abusivo. Senza più patente e possibilità di usare l’auto, il driver aveva subito fatto ricorso e sempre il giudice di pace, dopo qualche settimana, gli aveva concesso una “sospensiva” e quindi la possibilità di condurre di nuovo il proprio mezzo, in attesa di un pronunciamento definitivo. Questa pratica è molto comune: per gravi esigenze, per esempio famigliari, che possano naturalmente essere dimostrate e che necessitano l’uso di un’auto, una driver può ottenere una deroga particolare e continuare a guidare, evitando naturalmente di farlo per Uber.

La sentenza di oggi è però qualcosa di molto di più che una “sospensione cautelare”. E’ il riconoscimento che stante l’assenza di una normativa chiara in materia, che sancisca per legge l’illegittimità o meno della condotta di un autista Uber, lo stesso non possa essere sanzionato. “Una vittoria su tutta la linea” commentano i driver milanesi, entusiasti per uno dei primi pronunciamenti della magistratura a loro favore. Un episodio che arriva poche settimane prima dell’avvio di Expo. Sono circa 600 a Milano i driver che risponderanno a quei visitatori che avranno bisogno di muoversi in città. “A Expo non rinunceremo” avevano detto a ilfattoquotidiano.it. Parole che dopo la sentenza di oggi suonano ancora più minacciose per i tassisti.

Soddisfatta la general manager di Uber Benedetta Arese Lucini: “Nell’ultimo mese su Uber pop si sono espressi due giudici di pace di due città diverse e in entrambi i casi patente e libretto sono stati restituiti. Le ragioni con cui oggi è stato accolto il ricorso promosso dal driver le commenteremo quando saranno disponibili. Intanto però è evidente la necessità di un intervento, per fare chiarezza e limitare il dispendio di risorse e energie che in questi mesi è stato sprecato nel perseguire un’attività che una volta di fronte al giudice non viene sanzionata. Infatti, tutto questo accade mentre una legge nazionale dice, ormai da anni, che il sistema che regola la mobilità va riformato”.

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