Cinema

Film in uscita al cinema, cosa vedere (e non) il week end del 27 marzo

FRENCH CONNECTION (di Cedric Jimenez), LETTERE DI UNO SCONOSCIUTO (di Zhang Yimou) e LA FAMIGLIA BELIER (di Eric Lartigau): anticipazioni e recensioni

di Davide Turrini

FRENCH CONNECTION di Cedric Jimenez – Francia 2014, dur. 136 – Con Jean Dujardin, Gilles Lellouche

Quando a metà del film il giudice incorruttibile della Marsiglia fine anni ’70, Pierre Michel (Dujardin) e il capo clan Tany Zampa (Lellouche) si incontrano su una linea bisettrice da Face Off e con un campo e controcampo a specchio modello Heat (DeNiro/Pacino), stempiatura attoriale doppia incorporata, ecco che French Connection nel suo limite di ricostruzione storica esteriormente vintage assume i connotati del racconto epico. Il bene e il male si incontrano, e invece di stare su due pianeti isolati, scoprono manie di grandezza comuni. Jimenez, già autore di un folle film d’esordio girato con immagini di webcam e video di sorveglianza su un attentato in una stazione di Parigi (Aux yeux de tous), rotea frenetico con la m.d.p., crea improvvise soggettive, fa perfino un piano sequenza alla Scorsese (Zampa che rientra nel suo locale e toglie il disco dai piatti), si muove leggiadro tra vicoli, stanze del potere e lungomare assassini, per una specie di polar che si concentra molto in pedinamenti e spostamenti dei “buoni”, più che in vere e proprie scene d’azione e violenza dei “cattivi”. Il prodotto finale ha un andamento vivace, con i cattivi truci a sufficienza, e talvolta qualche tocco d’ironia. Il coinvolgimento del celebre sindaco socialista di Marsiglia, Gaston Defferre, e addirittura di Mitterand, crea un coté politico molto fantasioso ma anche parecchio spassoso. 3/5

LETTERE DI UNO SCONOSCIUTO di Zhang Yimou – Cina 2014, dur. 106 – Con Gong Li, Dao Ming Chen

Galeotta fu la botta con la tempia sul selciato del cavalcavia. Il destino che irrompe nello schema crudele della storia. La signora Feng che sta per raggiungere il marito Lu, dissidente nella Cina in piena rivoluzione culturale, viene strattonata dalle guardie e finisce con la testa sul freddo pavimento antistante i binari. Il risultato più o meno diretto è amnesia psicogena. Così quando Lu qualche anno dopo l’arresto verrà riabilitato dal regime e rispedito a casa, la moglie non lo riconoscerà più. Diteci voi se non sembra la sinossi di un film di Raffaello Matarazzo? Invece è un compassato Zhang Yimou di nuovo dalle parti del melodramma, con sorti predestinate e inconcludenti dei protagonisti, sempre costretti a rivivere all’infinito il loro dolore. Una prima parte dalle tonalità più livide, quasi d’azione in un paio di scene di massa che sembrano tratte da Leone; poi una seconda parte tutta d’interni, sequenze rallentate e reiterate della riconquista di Feng da parte del marito. Regia calligrafica, tutta sulle punte un po’ come la figlia danzatrice dei due protagonisti, per un cinema che supera la censura di stato parlando malissimo degli sgherri di Mao. Gong Li, ex madame Zhang, è già in età per le parti da “signora”. Dopo aver seguito la trama del film, una lacrima va spesa anche per questo. 3/5

LA FAMIGLIA BELIER di Eric Lartigau – Francia 2014, dur. 100 – Con Karin Viard, Louane Emera

La famiglia Belier ovvero quello che non è riuscito a fare fino in fondo Maccio Capatonda con Italiano Medio. Volgarità programmatica e superficialità formale abilmente celate sotto la patina del tema buonista (il sordomutismo della famiglia protagonista) riecheggiano in cento minuti di sofferenza spettatoriale, sempre che il proprio cervello non sia rimasto fermo all’età puberale: se Maccio/Verme urlava “scopare, scopare” qui vi si allude continuamente tra adulti e adolescenti con una sfregola degna di un set porno, con l’aggiunta di quell’allure campagnola alla francese che fa tanto borgo felice e formaggio molle sullo sfilatino. Il cinema popolare “medio” che inscena il nucleo familiare perfetto, imbastisce una stramba storiellina di fraintendimenti, sorrisini di quindicenni e piagnucolii di mamme, infine usa furbescamente l’handicap come apice della buffoneria. La regia va di fretta, gli attacchi di sonno degli sceneggiatori sono una costante, e il film si aggrappa ai gorgheggi soul della vera star di The Voice francese 2013, Louane Emera/Anne Peichert. Nel finale c’è perfino un aberrante ralenti con un fermo immagine. La canzone En chantant è stata composta da Toto Cutugno. 1/5

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