Le vicende del 1992, riprese nella serie in onda con buon successo su Sky, furono lo sbocco degli anni di prima e l’avvio a quelli di dopo, senza che nulla sia sostanzialmente cambiato nella dimensione e profondità dei fenomeni classificati come “corruzione”. Del resto, di “mariuoli” come Mario Chiesa ne erano emersi parecchi anche in precedenza, e tv e giornali ne avevano dato ampio racconto, così come è accaduto in seguito e fino ai giorni nostri. Ma è proprio nel 1992 che buona parte del Paese punta alla eliminazione del ceto politico in carica, nonostante che fino allora lo avesse votato in massa. Le spiegazioni possono essere varie: la caduta dell’ingessatura basata sulla contrapposizione Est-Ovest, la crisi di vecchi modelli industriali e occupazionali e via almanaccando. Lavoro per gli storici.

La serie tv, almeno per quanto ne abbiamo visto finora, non si addentra in questi spazi e mette tuttavia a fuoco un punto di assoluta evidenza: che allora i linguaggi della comunicazione di massa spazzarono via quelli dei partiti di massa e che i quadri dirigenti della tv commerciale sovrastarono quelli cresciuti in parrocchia e alle Frattocchie.

Nel racconto il perché viene accennato con l’episodio dei questionari in cui un gruppo di scolari elenca le dieci cose preferite. Sicché al pubblicitario Stefano Accorsi basta ordinare quei fogli per ritrovarsi tra le mani il censimento dei sogni correnti. Che, per quanto fatti di materia sottile, si dimostrano capaci di intrecciare interi gruppi sociali attraverso la “identificazione” in misura non meno efficace della “utilità”, ovvero dei ruvidi interessi che, trasfigurati in concetti, costituivano il collante materiale e alimentavano lo storytelling dei partiti di massa.

Detto diversamente: le competenze del marketing, che consistono nell’adeguare il prodotto – o il racconto del prodotto – ai desideri, sostituirono i patrimoni linguistici e culturali di natura più o meno pedagogica, usi a formare l’uomo in funzione di un progetto politico e sociale.

Non si trattò certo di un colpo di Stato, e poco conta perfino il turbinio giudiziario a seguito del quale il 1992 è ricordato come l’anno delle Guardie che acchiappano i Ladri. Nella realtà, anche se Guardie e Ladri si fossero ignorati, una cultura esausta veniva sostituita non da altre idee, ma da una tecnica che in qualche modo funzionava nell’adeguare il racconto politico alle propensioni correnti. Esattamente come la tv commerciale era sorta per “servire il popolo”, meglio dei vecchi maoisti, e non per cambiarlo.

Ne è derivato, ovviamente, sul piano del potere politico un ventennio senza idee e senza sfide, per la banale ragione che né delle prime né delle seconde l’insieme del corpo sociale sentiva la stringente necessità. e senza che in tolda di comando ci fosse alcuno interessato a o capace di gettare lo sguardo al di là della siepe.

È cambiata la situazione da allora? Sembrerebbe di sì perché la lunghissima crisi economica ha messo temporaneamente i bisogni avanti ai sogni provocando una profonda ristrutturazione delle geometrie politiche, l’affermarsi del Partito Nazione e via dicendo. Scelte di rottura che l’elettorato aveva per venti anni evitato.

Ma stiamo comunque certi che le routine sognanti sono solo in disparte e pronte a tornare in primo piano sol che si smetta di correre più veloci dei loro richiami. La lezione del 1992, da questo punto di vista, è per sempre.

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