Crozza è, nel panorama della tv italiana, l’unico intrattenimento serale che, rapportato alle nostrane usanze di palinsesto, possa definirsi “breve”: inizia alle 21.15 e alle 22.30 già volge al termine. In compenso, e proprio grazie alla sua brevità, è “denso” di lavoro: degli autori, dei tecnici e, va da sé, di Crozza e degli altri che vanno in scena attorno a lui. Una eccezione assoluta in un universo televisivo generalista che invece allunga e stiracchia a dismisura i programmi di prima serata e del pomeriggio. Insomma, da Crozza si addensa quel che gli altri sbrodolano.

È probabile che sia questo il segreto della tenuta degli ascolti di anno in anno, indipendentemente dalle maree auditel che hanno riguardato La7. Sì, nel 2010 e 2011 c’è stato anche per Crozza l’effetto “TG di Mentana” che metteva in evidenza al grande pubblico una rete fino allora poco osservata. Ed è da allora che gli ascolti hanno raggiunto la consistenza attuale, salvo fasi ancora più elevate all’epoca del Berlusconi pencolante. Ma anche quando il TG di La7 ha smesso di trainare la rete per assestarsi su valori meno glamour, la platea di Crozza è restata pressoché invariata per quantità e composizione (salvo una certa accentuazione della componente maschile). Così, per esempio, a novembre del 2012 raccoglieva fra l’8% e il 9%. Esattamente come nell’ultimo venerdì. Ed entro le 22.30, mica a notte tarda dove i passeri dell’auditel tentano di passare per aquile.

Naturalmente un’ora di prodotto “di peso”, tra testi, musiche, balli, orchestrali, capocomico e comprimari costa all’editore più che farne tre ore diluite. Ecco perché in Italia si finisce regolarmente a notte tarda. Ma l’attuale venerdì di La7 mostra che, sapendoci fare col palinsesto, la contraddizione si risolve. Perché lì, dopo lo show costoso, arriva Mentana a far tornare i conti economici della serata piazzando la chiacchiera d’attualità politica di Bersaglio Mobile, dove il tema è sufficientemente contiguo alla satira politica di Crozza da trattenere una discreta parte dei fan delle questioni di Renzi, Salvini etc, e gli offre una vera seconda serata, di quelle di una volta (parliamo degli anni ’80 e dei primi ’90) e non delle attuali destinate agli insonni.

Morale: se anziché puntare su programmi XXL per abbracciare lo spettatore dalla cena al sonno, si concentrano le risorse nella prima parte della serata, quando la concorrenza è maggiore, e si gioca d’astuzia nella parte seconda, i conti non sballano e il pubblico si fidelizza. Non da ultimo, si evita di ritrovarsi con una serqua di programmi “too big to fail”, troppo lunghi ed invasivi per essere avvicendati, anche quando meriterebbero un lungo, senza voler dire eterno, riposo.

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