La Google Tax in Gran Bretagna entrerà in vigore il primo aprile. Il provvedimento normativo britannico è stato confermato nel corso della presentazione del budget finanziario dal cancelliere George Osborne, che ha annunciato che le aziende che fanno migrare i propri profitti in Paesi stranieri a più bassa imposizione tributaria per sfuggire alla corretta tassazione saranno soggetti dal mese prossimo ad una diverted profits tax. “Fate in modo che questo messaggio abbia diffusione: la tolleranza di questa nazione nei confronti di chi non vuol pagare le imposte effettivamente dovute è giunta al capolinea” è stata l’inequivocabile dichiarazione di guerra alle grandi realtà imprenditoriali che hanno sempre manifestato una certa propensione a sfruttare meccanismi di elusione tributaria. Non solo Google, ma anche altri titani del business come Starbucks, Apple e Amazon – che hanno optato per una comoda e conveniente residenza fiscale in Irlanda – dovranno fare i conti con l’Erario di Sua Maestà.

Il nuovo regime impositivo stabilisce che le aziende con un giro d’affari superiore a 10 milioni di sterline dovranno comunicare alla HM Revenue & Customs (l’equivalente delle nostre Agenzia delle Entrate e delle Dogane) se ritengono che la propria stabile organizzazione in Gran Bretagna possa determinare l’assoggettamento all’imposta sui profitti indebitamente deviati verso paradisi fiscali o aree geografiche a tassazione di comodo.

Una volta eseguiti gli accertamenti su quanto dichiarato e il confronto con quanto effettivamente rilevato, i funzionari della HMRC stabiliranno quali siano i profitti sottratti all’imposizione prevista in Gran Bretagna e concederanno solo 30 giorni alle multinazionali per contestare l’applicazione della tassa ad una aliquota del 25%. Tra le novità, prossime a materializzarsi dopo la relazione di Osborne e finanziate in parte dalle entrate generate dalla Google Tax, ci sono quelle relative alle autovetture senza conducente e all’Internet delle Cose.

Le “driverless car” si posizionano in cima alla lista delle priorità, con la promessa di finanziamenti per circa cento milioni di sterline. La scelta non sorprende, dal momento che lo scorso febbraio Londra ha dato il via libera al test su strade pubbliche di tutte le vetture hands free driving (ovvero le auto in cui il conducente non guida, ma può comunque prendere il controllo del veicolo in caso di necessità o di emergenza) con lo stanziamento di 19 milioni di sterline per la creazione di centri di prova e verifica.

Mentre tutti parlano e straparlano di droni destinati a volare sopra le nostre teste, troppi trascurano le opportunità dei veicoli stradali senza pilota. Un interessante documento del Ministero dei Trasporti britannico (191 pagine piene di spunti e considerazioni ponderate) permette di riconoscere una attenzione non comune ad uno scenario che altrove è e continua ad essere trascurato.

Altro fronte ricco di sorprese è quello dell’Internet of Things (IoT) che è destinato ad assumere un ruolo propulsivo nella continua e costante rivoluzione digitale. Osborne, nella sua presentazione, ha sottolineato l’importanza di investire nelle applicazioni pratiche della Rete “delle Cose”, a cominciare dal trasporto urbano per giungere ai dispositivi medicali e a tutte le apparecchiature della ricca fauna di elettrodomestici nelle case del Regno Unito. Va considerato, infatti, che nel 2020 ci saranno 25 miliardi di “oggetti” collegati a Internet e gestibili a distanza per via telematica e questo scenario non può passare inosservato a chi vuol pianificare il futuro del proprio Paese.

di Donato Cutolo

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