Com’è diventato noioso il cinema oggi. (…) Abbiamo vissuto una stagione indimenticabile, meravigliosa, ma adesso è finita”. Le donne e le figlie del compianto Saverio Crispo (Francesco Scianna) non arrivano, la proiezione non può partire, sul palco un critico, Picci (Toni Bertorelli), la tira per le lunghe, masticando le lodi del cinema che era e non è più. Il nostro cinema glorioso, quello della commedia all’italiana, dei western in Spagna, delle sofisticate trasferte francesi, quello dei divi che ci diedero lustro e autostima da Trieste in giù.

Gente come Mastroianni, Gassman, Tognazzi e Manfredi, soprattutto, i primi due: Marcello e Vittorio, epitome stessa del glamour tricolore, del fascino nostrano, dell’essere così lontani e così vicini, internazionali e italiani insieme. Per il suo undicesimo lungometraggio, Cristina Comencini sceglie uno – le assonanze, le strizzate d’occhio sono innumerevoli – che avrebbe potuto essere Vittorio o Marcello: Saverio Crispo, il latin lover del titolo, che morto da dieci anni ha lasciato almeno cinque figlie, due vedove e un backstage sconfinato e mai esplorato fino in fondo. Saverio Crispo, con quel corpo da fotoromanzo, quel profumo indimenticabile e quel tutto che lo faceva unico, era il vino di cui tutte si sono inebriate, hanno preso un sorso, ma nessuna l’intera bottiglia… Cherchez la femme, l’ennesima donna, non è la strada buona, e la Comencini, sceneggiatrice a quattro mani con la figlia Giulia Calenda, cincischia, dispiega segreti e bugie, invidie e gelosie per scoprire che il gineceo non sarà tutto, ma il merlo maschio ha fatto una brutta fine, e non ce ne voglia Lando Buzzanca…Dunque, chi era Saverio, che dopo aver marchiato con la S – Zorro usava la Z – i nomi di tutte le figlie ancora comanda dall’oltretomba?

Potremmo seguire la via del gossip, ma non sarebbe cinema, dunque, meglio concentrarsi su chi è sopravvissuto a Saverio: Rita (perché non Rebecca?) la prima moglie, italiana, interpretata dalla grande Virna Lisi, all’ultima prova della sua vita; Ramona, la moglie spagnola (Marisa Paredes, che classe); la figlia italiana Susanna (Angela Finocchiaro), che sta con il montatore Walter (Neri Marcorè) ma non si può dire; la francese Stephanie (Valeria Bruni Tedeschi), tre figli da tre mariti diversi; la spagnola Segunda (Candela Peña), sposata al decorativo Alfonso (Jordi Molla, bravo); la svedese Solveig; l’americana Shelley e, non bastasse, l’italiana Saveria. Poi, lui, lo stuntman Pedro (Lluis Homar, presenza e carisma), che di Saverio ne sa più del filologo Picci e di un giornalista (Claudio Gioè) a caccia di scoop: che scopriremo, infine, del latin lover?

Innanzitutto, che primo complice il padre Luigi col cinema la Comencini è cresciuta, continua a vivere e può permettersi questa disamina postmoderna, leggera e (finto) nostalgica del nostro “come e quando eravamo” di celluloide: l’habitat è alto borghese (meno didascalie avrebbero giovato), l’allure cosmopolita, le schermaglie – i volti spagnoli aiutano –sottratte ad Almodovar, il retrogusto amaro, ma non troppo. Eppure, a scompaginare il metacinema, l’ennesimo effetto notte arriva l’emozione, grazie a Pedro lo stunt: il corpo per il corpo di Saverio che non è più. Ed è allora, mentre Pedro canta il suo eroe bambino, che se guardi Virna Lisi seduta in prima fila ti vien da piangere. Che poi, in fondo, è l’unica cosa che conta.

P.s: con questo Picci, la critica cinematografica non ne esce bene: pedante, verbosa, asfittica. C’entra forse l’accoglienza negativa, e sguaiata a Venezia, del precedente Quando la notte? Chissà, poco importa: questo è meglio.

il Fatto Quotidiano, 19 marzo 2015

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