Quello che è successo a Terni la notte tra giovedì 12 e venerdì 13 è quello che non dovrebbe succedere mai. David Raggi è stato sgozzato senza un perché in mezzo ai suoi amici più cari, di fronte al suo bar preferito. David aveva 27 anni, era un informatore farmaceutico e aveva fatto parte del personale volontario di supporto del 118. Era un altruista, uno di quelli che tendono la mano a chi sta male, a chi ha bisogno d’aiuto. Se la sorte avesse voluto, in una notte diversa, la mano di David si sarebbe potuta tendere proprio verso Amine Aassoul,detto Aziz, ridotto ko dall’ennesimo abuso di alcol e droghe e bisognoso dell’intervento del 118. Ma giovedì la mano di Aassoul era già impegnata a brandire la bottiglia rotta con la quale ha reciso la giugulare del giovane ternano. Senza un perché. L’assassino è un marocchino di 29 anni, già rimpatriato nel 2007 a causa di una serie di reati commessi, che nel Maggio del 2014 è rientrato illegalmente a Lampedusa e ha fatto richiesta d’asilo. A Settembre 2014 le autorità hanno rigettato la sua richiesta e Aziz ha fatto ricorso: la sentenza d’appello non era ancora stata emessa e così il giovane si trovava ancora sul territorio italiano. Eccolo qui il combinato disposto perfetto per una strumentalizzazione politica da dieci e lode: il giovane nostrano aggredito in casa sua, il clandestino rimpatriato, gli sbarchi a Lampedusa, una giustizia inadeguata a gestire il problema dell’immigrazione. E infatti il piatto era troppo ghiotto perché i rapaci non vi ci precipitassero. Subito pronto Matteo Salvini che twitta: “Un altro morto sulla coscienza degli amici di Mare Nostrum. Espulsione immediata a calci nel culo nel suo Marocco, dove potrà davvero marcire in una galera adatta a un verme come lui”. E soprattutto una bella manciata di voti in più per la Lega.

Ma questa volta, ahiloro, non va così. E a non farla andare così c’ha pensato David, la cui presenza continua ad illuminare le zone d’ombra di questo mondo malato anche adesso che non c’è più.“David non avrebbe voluto e noi non permetteremo che si faccia questo in suo nome” è la prima cosa che mi dicono Silvia, Francesco, Tamara, Riccardo, Benedetta e tutti gli altri amici di David, piegati in due da un dolore a cui è impossibile dare un senso. Sono ragazzi normali, un folto gruppo di amici abituati a condividere tutto, dalla gravidanza di Tamara al nuovo lavoro di Riccardo, spesso seduti ai tavolini del People (dov’è successo tutto) per un aperitivo dopo lavoro. E David, “Lui era il migliore di noi, quello a cui non doveva succedere”, mi dicono. Mi parlano di un ragazzo generoso, sempre pronto a dare una mano, quello di cui le mamme si fidano, quello la cui spalla è sempre a disposizione per raccogliere le lacrime di chi sta male. Era uno per cui la vita andava vissuta fino infondo e per cui tutti avevano lo stesso diritto a farlo. Me lo dicono e me lo ribadiscono, facendo piccola la loro rabbia dietro il grande animo del loro amico. Non vogliono che le loro reazioni emotive contaminino il ricordo di un giovane uomo che intorno alla solidarietà e all’amore per il prossimo ha costruito la sua vita.

La famiglia di David per prima non ha permesso che la loro perdita diventasse un’istigazione all’odio razziale: con coraggio e fermezza hanno messo a posto chiunque tentasse di servirsi di questa morte per rendere David il testimonial di una guerra fra razze.

Ci sono uomini la cui luce è così potente da continuare a brillare aldilà delle tenebre. A quanto pare David Raggi era uno di questi.

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