Grandi Opere avanti al rallentatore, solo l’8% arriva al traguardo – Tante leggi ma pochi fatti”. Questo il titolo de il Sole 24 ore di giovedì scorso. Con risalto dunque si è alzato il lamento del giornale della Confindustria che ha reso noto il 9° rapporto sull’attuazione della legge Obiettivo prodotto dall’Ufficio studi della Camera dei deputati e dal Cresme.

La desolante  situazione realizzativa delle infrastrutture, prevalentemente dei trasporti, ultimate a 14 anni dalla legge Obiettivo viene motivata da un quadro normativo e legislativo che non permetterebbe una rapida realizzazione delle opere. Forse ci sarebbe da mettere in conto anche una qualche connessione con pesanti fenomeni di corruzione come gli arresti di queste ore a Firenze dimostrano. Per superare questo “grave” impasse vengono proposte ricette come il disboscamento della normativa con una sua semplificazione radicale e il recepimento delle direttive europee in materia di appalti e concessioni. Insomma la pessima produttività e redditività delle opere pubbliche sarebbe colpa delle leggi. La legge Obiettivo, nata con poche e selezionate opere e nel tempo, è diventata un ricettacolo del desiderata degli Enti locali; ognuno ha ottenuto di inserire nella lista la sua opera “prioritaria”. Ma la legge Obiettivo non doveva selezionare e disboscare essa stessa le opere e le sue procedure realizzative? E di soldi se ne sono spesi tanti.

Secondo uno studio della Banca d’Italia del 2012 negli ultimi tre decenni la spesa pubblica per investimenti italiana è stata superiore a quella di Francia, Germania e Regno Unito. Tra il 1980 e il 2010 la spesa in Italia è stata pari al 2,6% del Pil inferiore a quella francese 3,1% ma superiore a quella di Germania 2,2% e del Regno Unito 1,8%. Il divario in termini di dotazione fisica di infrastrutture non può essere ricondotto all’inadeguatezza delle risorse finanziarie, quanto all’esistenza di ampi margini di miglioramento nel loro utilizzo. Una politica sconclusionata degli investimenti “tutti prioritari” e la scarsa o quasi nulla competizione sulle infrastrutture già realizzate nelle ferrovie, nei porti, negli aeroporti e nelle autostrade tengono ancorato al fondo il Paese che Matteo Renzi dice di voler rilanciare.

Nella pioggia di miliardi pubblici trovano ancora il finanziamento opere inutili come l’autostrada Orte-Mestre. Il potenziamento degli aeroporti di Firenze e Salerno e il finanziamento della metropolitana di Firenze (città con meno di 400mila abitanti). Ecco alcuni esempi di scarso utilizzo di importanti e costosissime infrastrutture dei trasporti già realizzate. L’alta velocità Torino-Milano ha una capacità di 300 treni/giorno, ma se ne effettuano solo 24 e scarsamente utilizzati pure quelli.

Il Passante autostradale di Mestre ha una capacità di 120 mila veicoli giorno ma ne transitano solo 25mila. Malpensa ha una capacità di 40 milioni di passeggeri anno, ma ne transitano 18 milioni. Pesano sulle infrastrutture i diffusi fenomeni di illegalità, i difetti di programmazione e l’inefficienza delle procedure di selezione dei progetti, di affidamento dei lavori (addirittura senza gara per l’Alta velocità ferroviaria) e di monitoraggio della loro esecuzione. Se non si superano le vecchie logiche clientelari non basteranno le indicazioni di dell’Autorità guidata da Raffaele Cantone.

Le proposte di investimento non sono sottoposte a valutazioni comparative. Si continua a puntare su un settore maturo come quello delle opere civili con limitate ricadute tecnologiche e modesti effetti occupazionali per unità di spesa. Possibile che un centinaio di opere contenute nella legge Obiettivo siano tutte “strategiche”? Fondare le scelte su analisi trasparenti costi- benefici può ridurre  l’opposizione delle popolazioni locali alla realizzazione di un’opera sul proprio territorio. I soldi volano, le opere vanno a rilento. Quelle realizzate  non si sanno sfruttare neppure quelle poche volte che possono avere una qualche  utilità. Così si produce un pesante debito pubblico che la ricchezza generata dalle infrastrutture (poca) non riesce ad abbattere. E, nel caso delle ferrovie italiane, a proposito di spesa corrente, i miliardi di uscite in eccesso incidono per il 25,5% sul debito, mentre i servizi per i pendolari non sono in eccesso e non lo è neppure la loro qualità.

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