“La Procura si è fissata solo su di me, senza seguire nessuna altra pista. Credete che basti una Bibbia, due lettere e un paio di visite della famiglia a togliere l’angoscia che ho addosso?”. La lettera è stata spedita dal carcere di Bergamo e pubblicata oggi (15 marzo) su Il Giorno: un foglio protocollo scritto a mano, con un titolo “Pensieri, emozioni, difficoltà e speranze mentre trascorrono i mesi in carcere”. In calce una firma. Quella di Massimo Giuseppe Bossetti, in cella dal 16 giugno con l’accusa di aver rapito e ucciso Yara Gambirasio.

Il muratore di Mapello ha risposto al quotidiano che gli ha chiesto come trascorre la vita dietro le sbarre, che pensieri vorrebbe rivolgere alla famiglia Gambirasio e cosa lo sostiene. In quattro pagine ha riavvolto il nastro mentale degli ultimi nove mesi. Sfogandosi e confidandosi. Raccontando le sue giornate tutte uguali, le umiliazioni dei compagni, la preoccupazione per i familiari fuori, la sfiducia che nutre nella giustizia e nella fede. Scrive nero su bianco di essere innocente, lo fa rivolgendosi ai genitori della 13enne di Brembate Sopra (Bergamo), sparita il 26 novembre 2010 e trovata cadavere in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio dell’anno dopo: “E COSA posso dire ora ai genitori di Yara? Nulla!! Perché solo se io fossi il colpevole potrei dirgli qualcosa ma io non li conosco, non so chi fosse Yara, non ho idea di cosa loro pensino. Sono sicuro che la loro sofferenza è grande, ma perché io ci sono finito di mezzo? Cosa c’entro io?”. È sicuro di essere al centro di un enorme errore giudiziario: “Essere stato incastrato, essere il capro espiatorio, essere sacrificato in televisione come l’orco, il mostro?”. “Un macigno”, lo definisce. Caricatogli sulle spalle da chi ha intrecciato il destino di Yara con il suo.

Il 44enne parte dall’inizio. Dai primi mesi in cella. Circondato dagli altri detenuti che lo chiamavano “l’ammazza bambini”. “È difficile spiegare il carcere a chi non l’ha mai vissuto da dentro, a chi lo ha solo visto in un film. Il carcere, che tu sia innocente o colpevole, è sempre e comunque un inferno“. Parla dei pomeriggi trascorsi sdraiato su una branda. A fissare il vuoto. Senza libri, né riviste né Tv. Le uniche distrazioni che gli venivano concesse erano le visite del cappellano, dello psicologo e dell’avvocato Claudio Salvagni. “Forse avevano sperato di rompere la mia resistenza, di piegare la mia testardaggine a dichiarami innocente, ma cosa altro potevo fare, se ero e rimango innocente? Potevo dichiararmi colpevole per avere la televisione in camera? Dovevo patteggiare un qualcosa di vergognoso che non mi ero mai sognato di commettere, per avere una cella migliore? Ma siamo matti?”.

Dopo nove mesi è cambiato poco o nulla. Ci sono stati i faccia a faccia con la moglie Marita Comi. Le visite dei figli. Ma la vita dietro le sbarre è sempre la stessa. L’unico modo per sfuggire si nasconde nel sonno: “Passo le mie giornate dormendo più di quanto io abbia mai dormito in vita mia, giocando a scala 40″. Adesso però ha la tv, dove guarda “cose stupide”. E dove le immagini della sua faccia lo rincorrono a “ogni ora di ogni giorno”. Ma oltre a questo “vedo mia moglie e i miei figli assediati dai giornalisti, vedo mia madre insultata per strada, vedo mia sorella picchiata sotto casa e minacciata (ma la Procura non ha riscontrato nulla, ndr), e io sono qui chiuso che non posso difendermi. Cosa mi sostiene? Cosa mi conforta? Nulla!!!!!! Nemmeno l’amore della mia famiglia riesce a confortarmi! – scrive Bossetti che riferisce anche di gravi problemi di salute del padre a cui non sarebbe concesso di fargli visita – Cosa mi può confortare da questo?”. Nemmeno la fede è un sostegno solido su cui reggersi. Dice di non averne, “al momento”. “Non ne ho nella giustizia, che si è dimostrata ottusa, non ne ho negli uomini, che si sono dimostrati senza cuore, e non ne ho nella preghiera, che per ora si è dimostrata inutile”. L’unica che gli rimane è quella in se stesso “e nella mia assoluta verità“. Firmato “Massimo Bossetti”.

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